Per il funerale dello scrittore besanese Eugenio Corti, il mio articolo pubblicato sulle pagine milanesi di Avvenire domenica 9 febbraio 2014.
Nel suo ruolo di testimone, «Eugenio ci indica e ci conduce a Cristo». E ci ha lasciato «un’eredità ricchissima e preziosa». Raccoglierla «significa imparare da lui la stessa sua grinta, la stessa passione che nasce dalla fede limpida e dalla fedeltà alla Chiesa». Sono alcuni dei passaggi più significativi dell’omelia che monsignor Patrizio Garascia, vicario episcopale della zona pastorale V di Monza, ha pronunciato ieri presiedendo la celebrazione del funerale di Eugenio Corti, lo scrittore besanese morto martedì all’età di 93 anni.
Garascia ha portato il saluto e l’abbraccio del cardinale arcivescovo Angelo Scola alla moglie Vanda e ai tanti parenti, amici e ammiratori che hanno gremito la basilica di Besana in Brianza. Erano presenti il presidente della Provincia di Monza, Dario Allevi, gli assessori alla Cultura delle province di Monza, Enrico Elli, e di Lecco, Marco Benedetti, il sindaco di Besana Vittorio Gatti (con la giunta) e tutti i suoi predecessori: andando a ritroso Sergio Cazzaniga, Antonio Mauri, Giovanni Riva, Giuseppe Giovenzana e Giuseppe Crippa, che fu eletto nel lontano 1967. Presente anche il sindaco dei ragazzi Ellen Barlow, autorità militari e presidi delle scuole del territorio, associazioni combattenti della zona, diversi gruppi alpini della Brianza, associazione Nastro Azzurro, Aido, Avis, Croce Bianca, Cai, Corpo musicale S. Cecilia, Pro Loco Besana.
Perché così tante persone, ha detto il vicario episcopale, si sono radunate per dare l’ultimo saluto e rendere omaggio a Eugenio Corti? «Perché riconosciamo in lui un amico, un padre, un maestro, un genio letterario di questa terra di Brianza, uno scrittore eccellente, che ha saputo incarnare la fede cristiana nei libri e nella vita ». In una parola perché «riconosciamo in Eugenio Corti un testimone, e si è testimoni – ci ricorda il nostro arcivescovo citando il papa Benedetto – quando attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Il testimone rinvia a Cristo. Eugenio ci indica e ci conduce a Cristo».
Ma «il funerale cristiano diventa un canto a Cristo risorto dalla morte. Noi siamo qui a professare lieti la nostra fede, riconoscendo con Eugenio che la fede in Cristo è davvero la grazia della vita. Il dono più grande che può capitare a un uomo». E «dunque noi ora crediamo che Eugenio», che «si è affidato a Gesù», «ora è nelle mani di Dio, quelle che lo hanno plasmato, che ora lo abbracciano».
Papa Francesco, ha ricordato Garascia, mercoledì ha invitato a «chiedere la grazia di morire nella Chiesa» e «ha sollecitato ciascuno a preparare un’eredità da lasciare dopo la morte», precisando che si tratta della «nostra testimonianza da cristiani lasciata agli altri, e alcuni di noi lasciano una grande eredità». «Fra me e me – ha aggiunto il vicario – mi sono detto: forse pensava a Eugenio, che era morto la sera prima ». E l’eredità di Eugenio, ha sottolineato Garascia, «è ricchissima». Egli fu «fedele al voto di trasformare in bellezza tutte le narrazioni e operare per l’avvento del Regno». Eugenio Corti, che «non intendeva la letteratura come una protesta», cercava di «rendere trasparente tutta la realtà dell’uomo» e «aveva imparato, dentro l’esperienza della fede, che la realtà è sempre positiva perché via che conduce al Mistero ». «Dunque – ha concluso Garascia – raccogliere l’eredità preziosa di Eugenio significa imparare da lui la stessa sua grinta, la stessa passione che nasce dalla fede limpida e dalla fedeltà alla Chiesa. Oggi come Eugenio un tempo nella ritirata di Russia siamo chiamati anche noi a camminare in mezzo a un gelo che rischia di atrofizzare il cuore nostro e di farci morire» Ma non dobbiamo mai dimenticare «quello che Gesù ci ha detto: voi siete il sale della terra, la luce del mondo. Forse ci è chiesto un supplemento di coraggio, lo possiamo fare guardando Eugenio».
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