Imparare ad aiutare le famiglie anche online

Una versione ampliata del mio articolo – pubblicato sull’inserto settimanale “Noi in famiglia” uscito con Avvenire il 16 maggio – sulla presentazione di un corso di alta formazione per consulenti familiari promosso dall’Istituto superiore di Scienze religiose “Ecclesia Mater” di Roma in collaborazione con l’Associazione italiana consulenti coniugali e familiari (Aiccef)

Una sinergia virtuosa in aiuto alla famiglia, nel solco della tutela che le viene riconosciuta dalla Costituzione e tra gli argini stabiliti dal magistero di Papa Francesco (Evangelii gaudium e Amoris laetitia). Sono le coordinate del corso online di alta formazione “Linguaggi e tecniche della consulenza familiare online“ promosso dall’Istituto superiore di Scienze religiose “Ecclesia Mater” di Roma in collaborazione con l’Associazione italiana consulenti coniugali e familiari (Aiccef) e con il patrocinio del Centro per la pastorale familiare della diocesi di Roma e presentato in Vicariato alla presenza del ministro per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti. «Siamo in un tempo in cui le difficoltà della famiglia sono sotto gli occhi di tutti – ha esordito Dario Gervasi, vescovo delegato per la pastorale familiare della diocesi di Roma –. Poter trovare un aiuto anche online alle problematiche che si vivono in famiglia e trovare ascolto può essere un grande sostegno».

«La consulenza è un intervento professionale non direttivo di tipo socioeducativo, che affianca la famiglia accompagnandola», ha spiegato Stefania Sinigaglia, presidente Aiccef. «Scopo del corso – ha aggiunto monsignor Andrea Manto, vicepreside dell’Ecclesia Mater – è mettere a frutto una tradizione che viene dal mondo cattolico ma è diventata patrimonio di tutti, fatta di ascolto, di cura e promozione del valore imprescindibile della famiglia come prima cellula della società e prima struttura di Chiesa». «Mai come in questo momento di fatica personale e collettiva, abbiamo avuto modo di riconoscere la potenzialità della famiglia, soggetto comunitario fondativo e fondamentale della nostra società» ha chiosato Elena Bonetti.

«In un tempo in cui si va di corsa, tutti i legami, anche quelli familiari, corrono il rischio di essere usurati, consumati – ha evidenziato Manto –. Constatiamo ogni giorno la solitudine delle famiglie, e la pandemia ha reso questo scenario più complesso e difficile. L’onda digitale ci chiede di abitare questo strumento e farlo diventare alleato nell’ascolto dei bisogni della famiglia». Da qui l’idea di formare gli specialisti della consulenza familiare per declinare la professione anche con l’utilizzo della comunicazione online: «Sono 105 gli iscritti al corso da tutta Italia – ha precisato Sinigaglia –. Si tratta di consulenti che già sono professionisti: dopo il percorso formativo di base e il tirocinio, hanno superato l’esame abilitante, e oggi decidono di rimettersi in gioco e accogliere questa sfida». Il percorso accademico è stato illustrato dalla coordinatrice del corso, Assunta Lombardi: «Essere efficaci in una comunicazione a distanza è diverso da esserlo in una vicino alla famiglia. Il corso, che dà 25 crediti, è stato suddiviso in 5 moduli: le basi della consulenza familiare in un’ottica di tipo sociale ed educativo; principi, tecnologie e metodologie per l’educazione all’uso dei media; psicologia della famiglia con una riflessione antropologica; aspetti di etica e normativa; infine attraverso un laboratorio si applicano le competenze acquisite nel percorso». Il corso prevede verifiche periodiche e un lavoro di progettazione finale realizzato a piccoli gruppi.

Il ministro Bonetti ha sottolineato che «quando si parla di consulenza familiare si parla sempre di fragilità, di fatiche, di ferite che vanno incontrate, ascoltate, sanate. Penso che oggi dobbiamo, accanto a questo tema di risposta alla fragilità, aprire davvero uno sguardo di speranza. Quando un uomo e una donna non si proiettano nella dimensione di una storia personale in avanti vuol dire che abdicano quella speranza che invece è necessaria per poter attivare percorsi di futuro». Si tratta di dare prospettive «attraverso l’incontro, l’ascolto, la formazione a questa capacità di progettualità delle famiglie» per far crescere «il coraggio che è necessario al nostro Paese per ripartire». 

Dopo che padre Francesco Citarda ha delineato la storia della consulenza familiare nel nostro Paese dal dopoguerra in poi, il corso è stato inaugurato dall’ampia lectio magistralis di monsignor Pierangelo Pedretti (prelato segretario del Vicariato): «Bisogni emergenti e nuove risposte per sostenere la relazione coniugale e la famiglia», che ha illustrato la potenza delle relazioni comunitarie, che aumentano le capacità di resilienza, la saggezza delle parole profetiche dei pontefici (da Giovanni XXIII a Francesco) che spingono a leggere i segni dei tempi, e il servizio di amore che è anche la formazione, per prendersi a cuore la vita delle persone. «Ci vuole coraggio ad andare oggi controcorrente – ha concluso monsignor Manto – e anche l’insegnamento della Chiesa a volte risulta problematico per lo scontro con il politicamente corretto, ma l’umanità ha imparato a navigare controvento. Credo che rivesta una grande importanza il terreno di incontro tra la presenza pastorale della Chiesa secondo il magistero di papa Francesco e il desiderio delle istituzioni di tornare a investire sulla famiglia».

A Roma parte il progetto dell’«ostetrica di comunità»

Un’iniziativa per venire incontro alle necessità di donne in condizioni di disagio sociale e delle loro famiglie, nel mio articolo sul numero di gennaio di Noi, famiglia&vita, supplemento mensile di Avvenire

birth-2730416_960_720Un intervento che è allo stesso tempo di tipo sanitario e sociale nonché autenticamente innovativo per la stessa medicina. È il progetto di “ostetrica di famiglia e di comunità” avviato a Roma grazie alla convenzione sottoscritta dalla Federazione nazionale collegi ostetriche (Fnco) con il Centro di pastorale della famiglia del Vicariato e con l’associazione Oltre l’orizzonte onlus. «Diamo la possibilità – spiega Maria Vicario, presidente Fnco – alle ostetriche di frequentare un consultorio familiare, perché siamo sicuri che la loro presenza può aiutare nella tutela della fertilità e di tutti gli aspetti della salute riproduttiva; e per loro stesse è un’occasione di crescita professionale». «L’ostetrica di comunità è un modello – aggiunge Marilisa Coluzzi, segretaria della Fnco e tra le responsabili del progetto – validato dall’Organizzazione mondiale della sanità per i Paesi sia a basso reddito sia ad alto reddito: non a caso è sviluppato da decenni nel Nord Europa e in Gran Bretagna. Le ostetriche sono “di famiglia” come il medico o l’infermiere».
«L’obiettivo sono in particolare le donne in stato di disagio sociale, anche migranti», spiega Assunta Lombardi, medico, esperta in formazione e management sanitario, e responsabile del progetto per l’associazione Oltre l’orizzonte onlus, di cui è vicepresidente. «Abbiamo notato che queste donne possono avere difficoltà gestionali non solo nella gravidanza, ma anche dopo il parto. Vivono condizioni di disagio e di isolamento, e spesso non vanno neanche al consultorio familiare. La soluzione è andare a incontrarle a casa, perché le loro condizioni di fragilità si traducono in un rischio psicopatologico: pur essendo quelle più esposte a depressione post partum e a relazioni patologiche tra mamma e bambino, queste donne sono anche le meno assistite sul piano psicologico». Il percorso nascita, con la visita di un’ostetrica a casa, diventa quindi «occasione di conoscenza di eventuali situazioni di rischio (anche per abusi e violenze in famiglia), allerta di una rete sociale di sostegno (parrocchia, servizi sociali del Comune), promozione di corretti stili di vita a 360 gradi, dalla salute riproduttiva alle vaccinazioni, all’alimentazione. È un esempio – continua Lombardi – di quella “medicina di iniziativa”, di cui si parla tanto ma che pochi fanno». Conclusa da poco la fase di formazione specifica per trenta ostetriche (già dotate di master, e di significative esperienze “sul campo”) il progetto sta per prendere il via «dal consultorio diocesano “Al Quadraro” collocato in un’area della periferia sud di Roma, con alta presenza di stranieri, soprattutto da Sri Lanka, Romania e Pakistan. E che è già attrezzato a rispondere alle fragilità: per esempio, c’è un’attenzione particolare alle donne disabili, con sale visita dedicate. Ma intendiamo estendere le visite in case alloggio e centri di accoglienza di migranti. E sono in programma anche interventi di educazione alla salute nelle scuole».
Tra le ostetriche c’è entusiasmo e curiosità: «Mi aspetto di rivalutare la nostra figura professionale rispetto a quanto ho appreso all’università – dice la giovane Silvia Parisse –. Ho sempre lavorato in ospedale, con la donna già “medicalizzata”, e credo che sarà interessante approfondire la parte territoriale dell’ostetricia, lo stare con la donna e la sua famiglia». «Penso – aggiunge Parisse – di poter mettere a frutto anche quello che ho vissuto e appreso come ostetrica di comunità in una piccola clinica a Getche, in Etiopia, dove dovevo anche saper mediare dal punto di vista culturale le mie conoscenze con le tradizioni di una popolazione mista, dove sono presenti cattolici, ortodossi e musulmani».
Il progetto durerà un anno, con raccolta dati “scientifica” e verifiche periodiche dei risultati, ma è destinato a prolungarsi e allargarsi. «C’è la disponibilità a estendere l’esperienza – spiega monsignor Andrea Manto, responsabile della Pastorale familiare del Vicariato – a consultori o altre diocesi interessate. È un modello che prende spunto da ciò che ha fatto Maria per la cugina Elisabetta ed è pensato per aiutare le donne e le famiglie fragili nel passaggio delicatissimo della nascita di una nuova vita. Abitare questo passaggio preparandolo prima e custodendolo poi significa renderlo più sicuro, più sereno e più gioioso».

Consultorio familiare, quattro aree per un rilancio

Dai lavori del convegno sul ruolo del consultorio familiare in una società che cambia, svoltosi nell’autunno scorso al ministero della Salute, è stato elaborato un documento che suggerisce alcune strategie per valorizzare un presidio che può aiutare la famiglia. Il mio articolo sul numero di gennaio di Noi, famiglia&vita, supplemento mensile di Avvenire

boy-2025099_960_720Integrare la cura sanitaria e l’attenzione sociale verso la famiglia e i suoi problemi è ancora un valore per il quale vale la pena spendersi. E per il quale il consultorio familiare, realtà istituita in Italia con la legge 405 del 1975 – ma già viva come esperienza promossa da associazioni cattoliche sin dal 1948 – , ha ancora compiti utili da svolgere, promuovendo benessere collettivo, e a costi contenuti. Sono messaggi importanti e condivisi tra gli esperti che si sono confrontati al convegno “Il ruolo del consultorio familiare in una società che cambia”, svoltosi nei mesi scorsi al ministero della Salute, che l’ha organizzato assieme all’Istituto superiore di sanità (Iss) e all’Università Cattolica del Sacro Cuore, con la collaborazione della Federazione nazionale dei collegi delle ostetriche (Fnco) e con il patrocinio del Centro per la pastorale familiare del Vicariato di Roma.
Ripartendo dai caratteri fondativi del consultorio, il documento finale – elaborato sulla base dei lavori del convegno cui hanno partecipato oltre 150 operatori consultoriali (pubblici e del privato sociale) e rappresentanti istituzionali e che viene ora proposto ai decisori politici nazionali e regionali – rammenta che i consultori familiari sono caratterizzati da «massima accessibilità, rapporto informale tra operatori e utenti e multidisciplinarietà dell’équipe». Quattro le aree prioritarie che sono state proposte all’approfondimento in altrettanti workshop: salute riproduttiva e percorso nascita, lavorare con le nuove generazioni, crisi della coppia e sostegno alla genitorialità, famiglie multiculturali e sostegno alle donne immigrate. I cambiamenti nei costumi e nei bisogni della popolazione in Italia nel corso degli ultimi decenni sono stati enormi: dalle statistiche – ha evidenziato il ginecologo Giovanni Scambia (direttore Polo Scienze salute donna e bambino del Policlinico Gemelli di Roma) – emerge che nella popolazione femminile nata nel 1966 si è dimezzata la quota di coloro che hanno fatto famiglia in modo stabile rispetto a chi era nato 20 anni prima. Tuttavia i cambiamenti non possono far dimenticare che «la famiglia è banco di prova della tenuta di una società», ha sottolineato monsignor Andrea Manto, responsabile della pastorale familiare del Vicariato di Roma. E che le sue fragilità devono essere motivo di stimolo per un intervento precoce ed educativo, capace di prevenire situazioni di crisi in ambito familiare e non solo.
Il documento finale ricorda che la legge istitutiva dei consultori prevedeva – usando un linguaggio odierno – «offerta attiva di iniziative formative e informative e di assistenza alle coppie», comprendendo «supporto per tutte le problematiche connesse alla salute riproduttiva, compresi i problemi di infertilità», e il «sostegno alla genitorialità» e «alla positiva risoluzione di situazioni di crisi familiare». Obiettivi che sono stati ribaditi anche più di recente da norme e indicazioni contenute sia nel Progetto obiettivo materno infantile (del 2000), sia nell’accordo Stato Regioni del 16 dicembre 2010, sia nel Piano nazionale fertilità e nei nuovi Lea (del 2017), fino all’invito che – alla Terza conferenza nazionale sulla famiglia nel settembre scorso “Più forte la famiglia, più forte il Paese” – è stato rivolto a sostenere la famiglia nelle sue fragilità, «funzione che rientra pienamente nel ruolo dei consultori familiari».
Non ci si può peraltro nascondere che spesso gli obiettivi sono difficili da raggiungere per la carenza di risorse, sia umane sia economiche, e che lo stesso consultorio familiare è poco conosciuto e frequentato. Significativo il dato fornito da Angela Spinelli (responsabile scientifico del convegno per l’Iss): «I consultori familiari sono passati da 2.725 nel 1993 a 1.944 nel 2016» (i dati si riferiscono alle strutture pubbliche, ndr). Eppure, ribadisce il documento, il consultorio «con la presa in carico di adolescenti, donne e coppie nel periodo preconcezionale, gestanti, bambini e coppia mamma-bambino, famiglie, rimane la struttura di riferimento che può assicurare quel continuum di prevenzione e di assistenza primaria raccomandata con un approccio life-course come ribadito anche nei nuovi Lea». Per questo è importante che il consultorio possa essere dotato di un “flusso informativo”, vale a dire che si possa misurarne e rendicontarne l’attività. Che altrimenti non sempre viene apprezzata in modo chiaro, e se non sempre si vede subito il risultato della prevenzione («ma oggi non c’è medicina senza prevenzione», ha sentenziato Scambia), spesso se ne può sentire la mancanza: in una zona del Lazio dove al consultorio familiare sono state “tagliate” le risorse per pagare extra orario un ginecologo che seguiva le adolescenti, ha riferito Serena Battilomo (responsabile scientifico del convegno per il ministero della Salute), si sono poi registrate in tre mesi due interruzioni di gravidanza proprio tra le giovanissime. E all’importanza degli spazi adolescenti ha fatto riferimento anche Giorgio Bartolomei, che opera nel consultorio familiare diocesano “Al Quadraro” di Roma.
Tra gli obiettivi comuni emersi in tutti i quattro workshop si può evidenziare la necessità di rendere sempre più il consultorio un «luogo che valorizza la famiglia come risorsa per la comunità», il «nodo di una rete che dialoghi con gli altri servizi sia territoriali che ospedalieri, sanitari e non, pubblici e del privato sociale, che intercettano le donne, i bambini/adolescenti, le famiglie, ragionando in un’ottica di sistema e agendo in un’ottica generativa». Vale la pena di segnalare alcune proposte specifiche dei workshop. Sulla «salute riproduttiva e percorso nascita» viene suggerito di «implementare modelli organizzativi», quali l’ostetrica di comunità (un esempio concreto viene presentato nell’articolo a fianco), per favorire «percorsi di assistenza integrata territorio-ospedale-territorio», e di valorizzare l’agenda della gravidanza, consegnata dalle ostetriche nei consultori familiari. «Lavorare con le nuove generazioni», comporta contribuire «all’educazione alla relazione sociale, affettiva e sessuale» di adolescenti e giovani adulti, aiutandoli anche a conoscere i temi della fertilità e promuovendo attivamente stili di vita sani per la protezione della salute riproduttiva. Su “crisi della coppia e sostegno alla genitorialità” viene la proposta di diffondere «Gruppi di parola per figli di genitori separati» e di «fare cultura familiare coinvolgendo la figura del padre nel percorso nascita». Infine per le «famiglie multiculturali e il sostegno alle donne immigrate» – vista la complessità del fenomeno migratorio – vengono chieste «lettura dei bisogni» e «flessibilità organizzativa», una «progettazione partecipata», nel «rispetto, riconoscimento e chiarezza nel rapporto con il privato sociale e con il volontariato», ragionando in un’ottica di sistema «per creare alleanze per proposte politiche-programmatiche».
Infine, il documento propone di realizzare una rinnovata mappatura dei consultori familiari «anche per individuare modelli positivi di funzionamento» e – attraverso il confronto in un tavolo tecnico – promuovere «un indirizzo operativo standard e omogeneo su tutto il territorio nazionale più adeguato alle necessità della società attuale». «Come sistema Italia in campo socio-sanitario possiamo rappresentare – ha sottolineato Walter Ricciardi, presidente dell’Iss – una risposta solidale fornita dal pubblico e dal privato sociale rispetto al privato predatorio che avanza in tante parti del mondo». «L’auspicio – ha concluso monsignor Manto – è che le best practice dei consultori, i tanti esempi virtuosi, possano fare cultura e, poi, creare volontà politica, per scegliere comportamenti di reale presa in carico delle persone e delle famiglie». Tutti temi sui quali – in vista delle elezioni – non è incongruo chiedere riscontri ai partiti e ai singoli candidati.

I consultori familiari: fare gioco di squadra

Al ministero della Salute, a Roma, si è svolta martedì 21 novembre una giornata di approfondimento sul ruolo e il futuro dei consultori familiari. Una sintesi dei lavori nel mio articolo comparso ieri su Avvenire

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La sede del ministero della Salute all’Eur

Confluiranno in un documento di sintesi da sottoporre alle i­stituzioni, dal ministro della Salute alla Conferenza Stato-Regioni, le proposte e le sollecitazioni per valoriz­zare il ruolo del consultorio familiare emerse dai workshop del convegno “Il ruolo del consultorio familiare in una società che cambia”, organizzato a Ro­ma dal ministero della Salute, dall’Isti­tuto superiore di sanità (Iss) e dall’Uni­versità Cattolica, in collaborazione con la Federazione nazionale dei collegi del­le ostetriche (Fnco) e il patrocinio del Centro per la pastorale familiare del Vi­cariato di Roma. Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero, ha ricordato che con l’i­stituzione dei consultori familiari nel 1975 il nostro Paese «è stato antesi­gnano», ma poi «si è un po’ fermato per strada». Dice qualcosa il dato – offerto da Angela Spinelli (Iss) – che i consul­tori familiari sono passati da 2.725 nel 1993 a 1.944 (e 147 privati) nel 2016. Tuttavia non mancano prese di posi­zione importanti: al recente G7 della salute di Milano – ha ricordato Serena Battilomo (ministero della Salute) – si è ribadito l’impegno a investire nella salute di donne, bambini e adolescen­ti riconoscendoli «positivi agenti di cambiamento per migliorare la salute di tutti».

Giovanni Scambia, presidente della So­cietà italiana di Ginecologia e ostetricia, ha dimostrato con dati di letteratura che «difendere la salute della donna si­gnifica difendere la società intera». U­na società peraltro che spesso dimen­tica il ruolo centrale della famiglia, co­me lamentato da Giorgio Bartolomei (consultorio familiare “Al Quadraro” di Roma): «Non si parla abbastanza della famiglia, che vive profondi cambia­menti e mostra una grande comples­sità. Crescono le famiglie monoparen­tali, le coppie in crisi e le relazioni af­fettive fragili; le famiglie multiculturali hanno difficoltà diverse. E poco ci si oc­cupa dei problemi di famiglie adottive, affidatarie, arcobaleno, o che fanno ri­corso alla fecondazione assistita».

Sulla formazione Maria Vicario (Fnco) ha segnalato che «l’80% degli studenti delle facoltà medico-sanitarie non fre­quenta i consultori». Rocco Bellanto­ne, preside della facoltà di Medicina della Cattolica, ha sottolineato l’im­portanza di abituarsi a lavorare in team, per sapere creare un giusto clima di ac­coglienza. Mentre dal presidente dell­’Iss, Walter Ricciardi, è venuto un invi­to: «Istituzioni come l’Iss e gli operato­ri del consultorio devono fare squadra per far capire ai decisori politici l’im­portanza dei consultori; e occorre una correzione del federalismo che in sa­nità ha prodotto grandi differenze nel­l’accesso ai servizi e alle terapie».

Monsignor Andrea Manto ( Vicariato) ha chiesto di ricordare che lo specifico del consultorio familiare «è rivolto alla famiglia, occorre credere che la famiglia sia un vero capitale e ricchezza per la so­cietà ». Tra le “buone pratiche” emerse dai workshop vale la pena di segnalare la convenzione stipulata tra Fnco, la on­lus Oltre l’orizzonte e il Vicariato di Ro­ma per sostenere la figura dell’ostetri­ca di comunità, una figura in grado di svolgere un ruolo di promozione della salute della donna sul territorio, e in modo attivo.