«Benedetto XVI a Pavia convinse anche gli scettici»

La mostra sui personaggi illustri all’università di Pavia mi ha richiamato alla memoria l’intervista che feci per Avvenire nel 2008 al rettore Angiolino Stella, in cui rievocava la visita di Benedetto XVI all’ateneo pavese, l’anno precedente. Il Papa era stato invitato all’inaugurazione dell’anno accademico all’Università La Sapienza di Roma, ma le proteste di alcuni docenti e studenti contro la sua presenza l’avevano indotto a rinunciare. Benedetto XVI diffuse comunque il testo che aveva preparato per l’occasione. 

Epigrafe B. XVI
L’epigrafe in ricordo della visita di Benedetto XVI all’Università di Pavia, nel 2007

«Siamo stati arricchiti dalla visita del Papa». Non ha dubbi il rettore dell’Università di Pavia, il professor Angiolino Stella, nell’indicare co­me «momento felice che rimarrà nella sto­ria dell’ateneo» l’incontro vissuto il 22 a­prile 2007 durante il viaggio che Benedet­to XVI ha compiuto nelle diocesi di Vige­vano e di Pavia. E aggiunge: «Il confronto tra componente cattolica e componente laica è essenziale per costruire il patrimo­nio comune nell’università. «Non ho visto nessuna imposizione nel discorso del Pa­pa, ma l’ispirazione a ideali alti e assolutamente condivisibili. Anzi, anche chi a Pa­via era perplesso sulla visita ha potuto con­vincersi della sua opportunità. Credo che a Roma abbiano perso questa occasione».

Rettore, come ha vissuto l’organizzazione della visita del Papa nella sua università lo scorso aprile?

Durante il viaggio a Pavia di Benedetto X­VI il suo interesse come studioso verso la figura di sant’Agostino rappresentava un forte stimolo a fare una tappa alla nostra u­niversità. Sant’Agostino, infatti, insieme con santa Caterina di Alessandria, è uno dei patroni dell’ateneo di Pavia. Inoltre, il Papa ha un passato accademico di cui va orgoglioso e sapeva che a Pavia c’è un’università antica, che può vantare una gran­de tradizione e grandi maestri: anche noi tenevamo moltissimo che venisse. Anche se in una comunità ampia come quella u­niversitaria si sono levate alcune voci di perplessità o dissenso, durante la visita non c’è stata ombra di contestazione. E molti scettici hanno cambiato idea.

Che cosa ricorda di quell’incontro?

È stata una bellissima giornata di sole nel cortile Teresiano, che dà una sensazione di respiro storico: ricorda Maria Teresa d’Au­stria che ha avuto un ruolo importante per l’università di Pavia. Erano presenti più di duemila persone. Sia il mio discorso sia quello del rappresentante degli studenti hanno avuto applausi ed elogi. L’interven­to del Papa ha ottenuto consensi unanimi. È stata una grande festa, Benedetto XVI e­ra felicissimo, lo si vedeva sorridente. E do­po la visita abbiamo avuto notizia, trami­te il vescovo di Pavia, anche dell’apprezza­mento della Santa Sede.

Come ha accolto l’università il discorso del Papa? È parsa ferita la laicità dell’istituzione?

Nell’università, in particolare in un ateneo che ha tradizione storica come quello di Pavia, devono sapere convivere le diverse componenti. Come ho detto nel mio di­scorso, non solo la convivenza, ma il con­fronto e l’interazione tra la componente cattolica e la componente laica sono un dovere per costruire insieme il patrimonio comune e la missione dell’università. Non vedo nessuna imposizione da parte del Pa­pa: si deve saper ascoltare, con attenzione e rispetto. Questo non vuol dire rinuncia­re alle proprie idee e convinzioni, ma cre­do che dall’intervento del Papa possono e­mergere spunti di riflessione e approfon­dimento utili per tutti, anche per chi è su posizioni non dico laiche, ma addirittura a­tee. Non c’è nessun pericolo nel confron­to con opinioni diverse, soprattutto se a parlare non è solo il Papa, figura sempre di indiscusso prestigio, ma nel caso di Bene­detto XVI, anche uno studioso di grande rilievo. Allora non solo non sono a rischio le idee degli altri, ma vi può essere il modo di arricchirsi ulteriormente.

Un confronto tra le diverse tradizioni si legge anche nel discorso che il Pontefice non ha potuto pronunciare a Roma. Vista la sua esperienza, lei crede che alla Sapienza si siano persi qualcosa?

Non c’è dubbio, perché da noi è stato un arricchimento per tutti. Quella visita ri­marrà nella storia della nostra università come un momento felice, che non solo non ha generato contrasti, ma se potenzial­mente ce n’erano, li ha cancellati. Le cito un brano del discorso del Papa a Pavia: «Ca­ri amici, ogni università ha una nativa vo­cazione comunitaria, essa è infatti una co­munità di docenti e studenti impegnati nel­la ricerca della verità e nell’acquisizione di superiori competenze culturali e profes­sionali. La centralità della persona e la di­mensione comunitaria sono due poli coes­senziali per una valida impostazione della universitas studiorum». Un intervento che è stato totalmente condiviso. Ma anche le sei cartelle del discorso «mancato» a Ro­ma danno una bella sensazione di ispira­zione a ideali alti e assolutamente condi­visibili. Analogamente a quanto accaduto a Pavia, sono convinto che sarebbe stato un incontro fecondo per tutti anche alla Sapienza.

Qualcuno ha suggerito di invitare nuova­mente il Papa a Pavia. Altre università si stanno muovendo in tal senso. Lei sareb­be favorevole?

Se ci fosse la possibilità, ne sarei ben lieto; ma mi rendo conto che altre università, che magari da secoli aspettano una visita del Papa, possano rivendicare un diritto di prelazione. Anche se mi sembra che un certo moltiplicarsi di inviti possa essere frutto dell’emozione di questi giorni. Io ho vis­suto con viva partecipazione tutte le fasi prima, durante e dopo l’incontro, addirit­tura con commozione certi momenti: è sta­ta un’esperienza indimenticabile. Sarei fe­licissimo di ripeterla.

Università di Pavia, le immagini di una cronaca che diventa storia

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Salone Teresiano, Biblioteca Universitaria di Pavia

Cultura, politica, goliardia: quasi un secolo di immagini e notizie erano raccolti nella mostra documentaria e fotografica «Il tempo di uno scatto. Personaggi celebri in visita all’Università di Pavia», che è stata ospitata nel Salone Teresiano della Biblioteca Universitaria a Pavia (Corso Strada Nuova, 65). Dall’inaugurazione del monumento agli universitari caduti durante la Grande Guerra (nel giugno 1922) alla presenza del duca d’Aosta Emanuele Filiberto di Savoia, sino al conferimento della laurea honoris causa all’astronauta Samantha Cristoforetti da parte del rettore Fabio Rugge (nel 2017) i visitatori illustri di cui si registra la presenza spaziano dalle più alte cariche istituzionali (re, presidenti della Repubblica, ministri e capi di governo) a esponenti del mondo della cultura, dell’arte e della scienza, sino a capi religiosi, quali i papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

La prima testimonianza è anteriore all’inizio del regime fascista: nel primo dopoguerra il comandante della “invitta” Terza Armata presenziò all’inaugurazione di un monumento che era stato concepito sin dal 1917 per onorare docenti e studenti caduti in guerra e che dal 1920 lo scultore Alfonso Marabelli aveva iniziato a realizzare. Per coprire le spese si erano mobilitati anche gli studenti: fu pubblicato un numero unico della rivista “Riso e… crape” al costo di 2 lire per raccogliere i fondi necessari (lo scultore lavorò gratis). Tre anni dopo fu la volta di Vittorio Emanuele III: nel maggio 1925 il re visitò Pavia per partecipare ai festeggiamenti per l’XI centenario dell’università. Le foto d’epoca lo mostrano su un cocchio trainato da quattro cavalli sfilare per le vie del centro e il quotidiano La Provincia Pavese pubblicò un ricordo del professor Archia Poderini, che rievocava l’iniezione di fiducia che rappresentò per i soldati il passaggio dell’auto del sovrano fra le truppe in ritirata dopo Caporetto. Alla piena epoca fascista – oltre dieci anni dopo – risalgono le successive visite di esponenti politici di primo piano, tutte caratterizzate da una tappa al monumento ai caduti. Dopo il principe Umberto di Savoia nel maggio ’36, è curioso notare che la visita del capo del governo Benito Mussolini nel novembre ’36 fu seguita a breve distanza (due mesi) da quella del maresciallo Pietro Badoglio, una successione che prefigura quella alla guida dell’esecutivo, che avverrà solo sei anni e mezzo più tardi.

Più attinenti alla vita accademica due altri appuntamenti commemorativi. Nel 1939, in occasione del 140° anniversario della morte, l’università celebra Lazzaro Spallanzani con un convegno scientifico e l’inaugurazione della statua nel cortile centrale del palazzo di Strada Nuova. Per l’occasione giungono a Pavia il duca di Bergamo, Adalberto di Savoia, e il ministro della Giustizia Arrigo Solmi (già rettore dell’Università di Pavia quando ci fu la visita del re). Il convegno scientifico ricorda gli studi del pioniere della fecondazione artificiale animale del biologo (e gesuita) che insegnò a Pavia negli ultimi trent’anni della sua vita e fu anche rettore dell’ateneo. Nel giugno 1942 in onore di Contardo Ferrini – nel 40° della morte – si svolge il convegno nazionale di diritto romano, che porta a Pavia insigni giuristi da tutta Italia. Nel consueto brulicare di camicie nere e di alti papaveri del regime, che si osservano nelle foto, c’è da sperare che almeno monsignor Cesare Angelini, rettore del collegio Borromeo che nel cortile commemorò l’antico allievo, abbia ricordato la figura di fervente cristiano di Ferrini, di cui era in corso il processo canonico che cinque anni dopo doveva portarlo agli onori degli altari.

Passata la guerra, sono documentate due visite del presidente della Repubblica Luigi Einaudi: nel 1951 e un mese prima della scadenza del suo mandato, nell’aprile 1955. Oltre alle foto e alla prima pagina della Provincia Pavese sono esposti il telegramma di ringraziamento del presidente in occasione della prima visita e il biglietto di invito alle cerimonie firmato dal rettore Plinio Fraccaro in occasione della seconda, quando a Einaudi venne conferita la laurea honoris causa in Scienze politiche. Lo stesso titolo onorifico fu conferito al presidente Giovanni Gronchi, giunto a Pavia nell’ottobre 1961 in occasione delle solenni celebrazioni per i 600 anni dell’Ateneo: è esposta anche una pergamena in latino, composta da Enrica Malcovati, che compie un excursus sulla storia dello Studium Generale citando alcune delle figure che gli diedero maggior lustro.
Per restare alle cariche istituzionali, sono documentate le visite anche dei presidenti Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano (manca la documentazione sulla veloce visita di Francesco Cossiga nel maggio 1986), di un presidente del Consiglio (Amintore Fanfani) e di un ministro (Alfredo Biondi), nonché del re di Svezia, Gustavo VI Adolfo, noto appassionato di archeologia. In particolare la visita di Fanfani (nel 1962) si segnala per l’inaugurazione del collegio universitario del governo italiano “Luigi Rocchetti Bricchetti”, destinato a ospitare borsisti di Paesi stranieri, prevalentemente africani. Nonostante la lungimiranza, l’iniziativa, promossa dall’entomologo Mario Pavan, ebbe vita breve: nella primavera del 1964 fu chiuso dal ministero degli Esteri perché «i risultati non avevano risposto alle aspettative».

Il papiro goliardico per Enzo Ferrari
Il papiro goliardico per Enzo Ferrari

Un’ampia sezione della mostra viene a rievocare invece una tradizione che intrecciava goliardia e fama culturale. Grazie a un gruppo di ex studenti dell’università di Pavia, era nata nel 1961 l’Associazione laureati ateneo ticinense (Alat), che tra le sue attività aveva inaugurato la tradizione di conferire il titolo di “matricola ad honorem” a una nota personalità del mondo della scienza, delle lettere o delle arti. Il primo a ricevere il premio fu nel 1963 lo scrittore Riccardo Bacchelli, seguito dal chimico Giulio Natta, dal musicista Herbert von Karajan, dal sociologo Salvador de Madariaga, dallo scienziato Albert Bruce Sabin, dall’ingegnere Pier Luigi Nervi, dall’ingegnere Enzo Ferrari, dal cineasta Federico Fellini, dallo scrittore Georges Simenon (ritirato dall’attore Gino Cervi), dal pittore Giorgio De Chirico, dal fisico Emilio Segrè, dal musicista Gianandrea Gavazzeni, dal filosofo Norberto Bobbio e dall’editore Valentino Bompiani. Il cerimoniale di queste giornate prevedeva, dopo i discorsi del rettore e del presidente dell’Alat in Aula Magna, sia l’imposizione del cappello goliardico (curiose le foto di Sabin e di von Karajan), sia il dono di una targa con la Minerva d’oro (incisione dello scultore Francesco Messina, che concesse all’Alat l’uso esclusivo della matrice) e di un papiro goliardico, opera dell’illustratore Giuseppe Novello. Tra i papiri più originali quello per Enzo Ferrari, in cui la statua di Alessandro Volta si china verso l’ingegnere che mostra una sua auto, e quello per Albert Sabin, in cui è un bambino sorretto dalle braccia del rettore dell’università a imporre il cappello goliardico allo scienziato. Inoltre veniva assegnato al più anziano laureato presente alla cerimonia il Goliardone, berretto con i nastri dei colori di tutte le facoltà. Un docente presentava la figura dell’illustre premiato, che veniva poi accompagnato in corteo e sulle note dell’inno goliardico fino alla piazza Leonardo da Vinci: qui a 50 metri d’altezza sulla torre dell’orologio (gli ultimi dalla torretta della Specola) veniva srotolato il gonfalone del Gran Pavese con il nome della matricola d’onore a caratteri cubitali. Infine un banchetto, accompagnato dalla goliardia.

L’ultima parte della mostra presentava una serie più varia di visitatori illustri ed eventi: il conferimento della medaglia teresiana al fisico Carlo Rubbia e all’astronauta Samantha Cristoforetti, il premio internazionale Wendell Krieg Lifetime Achievement Award alla scienziata Rita Levi Montalcini, la laurea honoris causa al musicista Riccardo Muti e all’artista Moni Ovadia, la presenza del giornalista Indro Montanelli in occasione dell’inaugurazione della nuova sede del Fondo Manoscritti avviato da Maria Corti. Infine, particolare emozione mi suscitano le testimonianze sulle visite di Giovanni Paolo II (accolto dal rettore Alessandro Castellani) e di Benedetto XVI (rettore Angiolino Stella). Il primo giunse a Pavia il 3 novembre 1984 nel corso del suo viaggio in Lombardia per il quarto centenario della morte di san Carlo Borromeo: e nel suo discorso a professori e alunni, oltre a ricordare l’arcivescovo di Milano laureatosi in utroque iure all’università di Pavia e promotore del collegio che porta il suo nome, difese l’importanza dell’incontro tra fede e cultura. Ma il ricordo personale è quello dell’attesa gioiosa di noi studenti nei cortili del Palazzo centrale dell’università per il passaggio del Pontefice che, cordiale come sempre, strinse le mani a tutti (almeno a chi riuscì ad avvicinarsi alla prima fila). Il secondo, nel corso della sua visita pastorale alle diocesi di Pavia e di Vigevano, il 22 aprile 2007 nell’incontro con il mondo della cultura rievocò la figura a lui tanto cara di sant’Agostino da Ippona, copatrono dell’Ateneo pavese (e le cui spoglie sono conservate a Pavia nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro) e ribadì l’importanza dell’incontro «tra cultura ecclesiastica e laica», che nel corso della storia favorì il cammino del sapere nelle università.

La mostra è stata voluta dal direttore dell’Archivio storico di Ateneo, Fabio Zucca, e ideata e curata da Roberta Manara, con Alessandra Baretta e Maria Piera Milani. Realizzata in collaborazione con la Biblioteca Universitaria, l’Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea e il Centro interdipartimentale di ricerca e documentazione sulla storia del Novecento, era una miniera di notizie e curiosità e spiace solo che sia rimasta aperta meno di due mesi e fosse priva di catalogo. C’è da sperare che almeno parte del materiale venga utilizzato dalla meritoria e accurata storia dell’università di Pavia, Almum Studium Papiense, che gli studiosi coordinati da Dario Mantovani (docente di Diritto Romano e presidente del Centro per la storia dell’Università di Pavia) stanno preparando dal 2011, un progetto nato in occasione della celebrazione dei 650 anni dell’ateneo. Siamo infatti in attesa del terzo volume (come i precedenti articolato in due tomi) che sarà dedicato al Novecento: è una trattazione più orientata agli aspetti istituzionali e scientifico-accademici, ma che non trascura approfondimenti su singoli documenti o personaggi. E la mostra ha dato un’ampia testimonianza del vivace e duraturo rapporto dell’Università di Pavia con il tessuto sociale e culturale dell’intera nazione.

Il Papa: nell’alleanza tra uomo e donna il bene della società

Giovedì 5 ottobre si è aperta l’assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita (Pav) sul tema: “Accompagnare la vita. Nuove responsabilità nell’era tecnologica”. Papa Francesco è intervenuto con un discorso molto ricco e puntuale sull’impegno che deve caratterizzare la missione della Pav, in un mondo in cui se «la potenza delle biotecnologie pone questioni formidabili», non minori problemi solleva «la sfida posta dalla intimidazione esercitata nei confronti della generazione della vita umana». E nel sottolineare che «la fede cristiana ci spinge a riprendere l’iniziativa», indica la necessità di una «alleanza generativa dell’uomo e della donna» e di «ritrovare sensibilità per le diverse età della vita, in particolare per quelle dei bambini e degli anziani». Le opinioni su queste sollecitazioni del Pontefice di alcuni autorevoli esperti sono raccolte nel mio articolo pubblicato da Avvenire giovedì 12 ottobre, nelle pagine della sezione “è vita”. 

papaRifiuto di una «cultura ossessivamente centrata sulla sovranità dell’uomo rispetto alla realtà», «spregiudicato materialismo che caratterizza l’alleanza tra l’economia e la tecnica», «manipolazione biologica e psichica della differenza sessuale », «alleanza generativa dell’uomo e della donna quale presidio per l’umanesimo planetario degli uomini e delle donne», «fede nella misericordia di Dio, condizione essenziale per la circolazione della vera compassione fra le diverse generazioni». E poi l’invito: «La fede cristiana ci spinge a riprendere l’iniziativa ». Sono tanti i messaggi forti che papa Francesco ha lanciato pochi giorni fa aprendo l’assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita (Pav). Indicazioni che stimolano la riflessione. «L’intervento del Papa – osserva il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pav – oltre a essere chiaro ed esplicito nella condanna della mentalità del gender, ha rimesso in luce lo splendore e il valore della differenza sessuale, la sua incidenza in profondità nell’essere umano e nella vita della coppia ». Queste indicazioni, tradizionali nella concezione cristiana, «coincidono con alcuni ripensamenti nel mondo laico a proposito delle politiche abortiste e al calo del tasso di natalità, che si traducono anche in riduzione della potenza economica degli Stati. Per esempio in Russia sia il potere politico sia la Chiesa ortodossa sono schierati a combattere l’aborto. Si aprono spazi per una diversa valutazione delle politiche anticoncezionali che hanno caratterizzato gli ultimi 50 anni nel mondo laico ». Il Papa, continua Sgreccia, non ha lasciato nulla in ombra, sottolineando che «le politiche antinataliste, che rifiutavano il modello tradizionale di famiglia, dando alla gioventù un’impronta nuova per vivere la sessualità, come se ne dovesse sbocciare una civiltà più libera e umana, si sono rivelate come una strada verso l’eclissi e il calo del potenziale economico delle nazioni».

«Mi ha molto colpito – osserva Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita – il passaggio in cui il Papa dice che “l’alleanza dell’uomo e della donna è chiamata a prendere nelle sue mani la regia dell’intera società”. Si parla di costruzione della civiltà politica, e chi ha una famiglia sa che è questo il contesto in cui si comincia a fare politica: mettendo d’accordo i figli, trovando tempi di mediazione, cercando di essere presen- ti per individuare soluzioni equilibrate che siano nell’interesse di tutti». «Quando il Papa ci dice che la costruzione della società politica parte dall’alleanza tra l’uomo e la donna, ci sta dicendo che è dall’amore coniugale che si può costruire una società che diventa a misura della famiglia, non dei diritti assoluti individuali». In definitiva, «che la differenza biologica tra maschio e femmina è il seme della società migliore». «Dobbiamo anche ammettere – conclude Gambino – che c’è stata una certa pigrizia dei cattolici, mentre altri si sono mobilitati con capacità di attrazione e hanno permeato una cultura molto individualistica. Sono le “élite creative” di cui parlava papa Benedetto, speculari a quanto dice oggi papa Francesco ».

Questa politica, poco attenta al valore della società e della famiglia, sua prima cellula, «ha confiscato il dibattito ed è diventata autoreferenziale – osserva Filippo Boscia, presidente dell’Associazione medici cattolici italiani – anche su temi cruciali, come il nascere e il morire, o la differenza sessuale. Noi credenti dovremmo riprendere l’iniziativa: è paradossale dover ricordare che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre, che una donna è donna, che un uomo è uomo». Importanti le riflessioni del Papa sugli sviluppi tecnologici: «L’innovazione vuol fabbricare un superuomo ma fa crescere prevalentemente frustrazione e scarti. Credo che bisogna ricostruire qui la responsabilità dei cattolici: spazi in cui la nuda vita possa essere accolta, custodita, riconosciuta. Il primo spazio che è stato maltrattato è la famiglia. Basti pensare alla maternità surrogata: donne che hanno dovuto accettare contratti subumani di schiavitù. Questo dobbiamo avere il coraggio di dirlo».

Dal Papa ci viene «un grande impulso ad accettare di confrontarci con le sfide che vengono dallo sviluppo tecnologico, che consente di raggiungere anche buoni risultati in tanti campi, tra cui la medicina, ma pone interrogativi, preoccupazioni, rischi». Monsignor Renzo Pegoraro, cancelliere della Pav, osserva che bisogna «accettare questa sfida senza paure o nostalgie del passato, ma confidando nell’ispirazione cristiana, nella nostra fede, avere il coraggio di riflettere e usare i doni che il Signore ci dà: la ragione, le competenze, l’impegno». Anche l’appello all’alleanza tra uomo e donna e tra le generazioni «è ricco di grandi prospettive e linee di comprensione e impegno nei confronti della vita umana – aggiunge Pegoraro –. Vuol dire un’alleanza (categoria biblica) che riconosca le differenze, cercando di vedere come diventano possibilità di incontro per assumere un impegno e una responsabilità insieme. È una continua sfida, una prospettiva da costruire. Si tratta non solo, dice il Papa, di parlarsi d’amore ma di parlarsi “con amore” su come affrontare le responsabilità della vita. L’alleanza tra le generazioni può aiutare molto ad affrontare i problemi di una società complessa, ad esempio la sostenibilità ambientale del nostro agire, per non consumare tutto nel presente».

Buon compleanno papa Benedetto

benedictus_xviDue pagine di Avvenire sono dedicate a Joseph Ratzinger che compie oggi 90 anni. Sull’Osservatore Romano la ricorrenza è celebrata con un estratto di un libro di scritti di tredici studiosi che hanno ricevuto il «Premio Ratzinger».

Il biografo di Benedetto XVI, Elio Guerriero, con un editoriale su Avvenire celebra «Il sigillo e le svolte sulla via di Benedetto». Joseph Ratzinger nacque un Sabato santo e festeggia i 90 anni nel giorno di Pasqua; dopo aver ricordato i passaggi cruciali della sua vita religiosa, Guerriero conclude con una preghiera rivolta a Benedetto: «Chiediamo al Signore di tenerla ancora per qualche tempo con noi. Troppo bella è la sua testimonianza per la Chiesa, troppo salute per gli uomini tutti la sua presenza silenziosa, la sua sapienza evangelica». Nelle due pagine interne si legge un’intervista a padre Federico Lombardi (di Gianni Cardinale) «Un uomo sempre libero. Anche nella rinuncia». Sulla quale dice: «L’ho vissuta in un atteggiamento di sintonia. Senza avere difficoltà a capirne le motivazioni che sono poi quelle da lui stesso enunciate in modo chiaro ed esauriente». Tra i ricordi lieti: «Emozionante il silenzio meraviglioso che caratterizzò l’adorazione eucaristica alla Gmg di Madrid, una pace ritrovata dopo che la grande spianata era stata colpita da un violento acquazzone». Angelo Scelzo prefigura il giorno del compleanno di Benedetto XVI «in famiglia» cioè la comunità che vive intorno al Papa emerito – in questi giorni arricchita dalla presenza del fratello maggiore Georg –, descrivendo la sua vita quotidiana tra la Messa, le meditazioni e il pianoforte: oggi è attesa anche la visita di papa Francesco. Completano le due pagine un’intervista (di Andrea Galli) al padre gesuita Joseph Fessio: «Un maestro di chiarezza dottrinale» e la presentazione del libro del vaticanista di Avvenire, Mimmo Muolo, Il Papa del coraggio, un profilo di Benedetto XVI (Ancora Editrice).

L’Osservatore Romano presenta il volume Cooperatores veritatis (Libreria Editrice Vaticana), curata da padre Federico Lombardi e Pierluca Azzaro, con la prefazione del salesiano Giuseppe Costa. La raccolta comprende gli scritti di Inos Biffi, Rémi Brague, Richard A. Burridge, Waldemar Chrostowski, Brian E. Daley, Olegario González de Cardedal, Maximilian Heim, Nabil el-Khoury, Ioannis Kourempeles, Mario de França Miranda, Anne-Marie Pelletier, Christian Schaller e Manlio Simonetti. Proprio del contributo di quest’ultimo, docente emerito di Storia del cristianesimo, viene pubblicata la prima parte «Esegesi ed erudizione tra ellenismo e tarda antichità», che esamina il metodo allegorico nell’interpretazione dei poemi omerici e poi nella Bibbia, fatta propria anche dai filosofi. Simonetti cita Plotino (Enneadi I, 6, 8) che «interpreta le peregrinazioni di Ulisse alla ricerca della patria come allegoria dell’anima che cerca di risalire nella sua autentica patria», un tema fatto proprio anche dal suo allievo Porfirio nell’opera L’antro delle ninfe.

Medioevo delle donne e romanzo scandalo. E i 90 anni di Ratzinger

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Giovanna d’Arco

È una pagina densa oggi su Avvenire la copertina di Agorà: il Medioevo al femminile di Régine Pernoud e il discusso romanzo Bruciare tutto di Walter Siti; in più l’annuncio del premio «Eugenio Corti». Infatti all’autore del Cavallo Rosso, scomparso tre anni fa, il Centro di ricerca «Letteratura e cultura dell’Italia unita« dell’Università Cattolica di Milano dedica un premio internazionale per promuovere lo studio della sua opera. Due le sezioni: miglior pubblicazione sulla sua opera e miglior tesi di laurea o dottorato. La scadenza è l’8 ottobre prossimo; maggiori informazioni sul sito del Centro di ricerca.

Lo storico Franco Cardini («Clotilde, il cuore e il Medioevo delle donne») plaude alla nuova edizione di un capolavoro della studiosa francese Régine Pernoud La donna al tempo delle cattedrali (Lindau). «Il Medioevo è pieno – scrive Cardini – di donne straordinarie: statiste, da Eleonora d’Aquitania a Matilde di Toscana che ha offerto un contributo formidabile alla Riforma della Chiesa nell’XI secolo a Bianca di Castiglia madre di Luigi IX; sante, da Chiara d’Assisi a Caterina da Siena a Giovanna d’Arco; intellettuali, scrittrici e poetesse, da Eloisa a Christine de Pizan». E donna straordinaria era anche Regine Pernoud, scrive Cardini: «Autrice di studi scientifici rigorosissimi, era una fervente sostenitrice della necessità civica di scrivere libri di buona e affidabile divulgazione storica, che servissero ad alzare il livello culturale medio della società civile». E questo libro – conclude – «potrebbe essere una piccola, vera e propria storia del Medioevo» visto attraverso le donne, da Clotilde (moglie del re franco Clodoveo, V-VI secolo) a Giovanna d’Arco (morta nel 1431).

L’elzeviro di Alessandro Zaccuri («Agli abissi di Siti manca il coraggio di Dostoevskij») esamina il nuovo romanzo di Walter Siti Bruciare tutto, «al centro di una polemica non esclusivamente letteraria». Protagonista è infatti don Leo, un giovane prete omosessuale, ma anche pedofilo. Zaccuri osserva che analoga storia di abiezione era stata narrata da Fëdor Dostoevskij nei Demoni: «È indubbio che siano una delle fonti di Bruciare tutto, se non la principale». I libri di Siti «ruotano attorno a una visione tutt’altro che conciliata dell’omosessualità, nella quale il desiderio erotico si rovescia in colpa, stigma morale, condanna». Ma il suo don Leo, che «aveva giurato a se stesso di non diventare mai come il suo turpe confessore, è precipitato nello stesso inganno». E sembra non avere mai creduto in Dio «contrariamente a don Lorenzo Milani, alla cui “ombra ferita e forte” il romanzo di Siti è ambiguamente e inspiegabilmente dedicato.

«Non importa – osserva Zaccuri – che Siti si dichiari non credente… La discesa agli inferi di don Leo avrebbe potuto raccontarla solo uno scrittore che, almeno durante la stesura del romanzo, si fosse fatto carico del paradosso della fede, di quel come se su cui tutto sta o cade. In assenza di questo, la soluzione di assegnare a un altro bambino il ruolo prima di tentatore e poi di vittima sacrificale risulta tanto strumentale da suscitare raccapriccio».

Infine due segnalazioni. Nella seconda pagina di Agorà, Maurizio Schoepflin recensisce libro del teologo Romano Penna Quale immortalità? (San Paolo) che «offre un contributo prezioso alla chiarificazione delle numerose e tanto differenti concezioni che, lungo i secoli, si sono susseguite intorno alla questione relativa a ciò che ci attende post mortem».

Nella pagina dedicata agli spettacoli, Tiziana Lupi («L’umanità di Benedetto») presenta la puntata che La grande storia, domani alle 20 su Rai3, dedicherà alla figura del Papa emerito in occasione del suo novantesimo compleanno. Lo speciale Benedetto XVI, la storia di Joseph Ratzinger da un lato ne racconta la biografia, con immagini inedite o poco note, dall’altro si interroga – spiega il responsabile de La grande storia Luigi Bizzarri – sul rapporto «tra il chiostro e il mondo», tra «il desiderio di una vita appartata, dedicata alla preghiera, allo studio e alla scrittura» e «il servizio alla Chiesa» fino al soglio di Pietro «Ad oggi – osserva Bizzarri – sappiamo troppo poco di ciò che Benedetto XVI ha fatto realmente per la Chiesa… Una vera valutazione potremo farla, forse, tra vent’anni». Commenta l’autrice Nietta La Scala: «Ciò che mi ha colpito di più è stata l’umanità di Ratzinger».

Prendersi cura della vita, questione di virtù 

In vista del workshop in programma venerdì 4 marzo in Vaticano e dedicato alle virtù nell’etica della vita, mia intervista al cancelliere della Pontificia Accademia per la via, monsignor Renzo Pegoraro, pubblicata oggi su Avvenire

pegoraroUna discussione alta, sui princìpi fondamentali che stanno a monte dell’agire morale dell’uomo, in modo che sia orientato al bene della persona nei contesti concreti della tutela della vita che caratterizzano le professioni del medico, dell’infermiere, del ricercatore. È il filo conduttore del workshop della Pontificia accademia per la vita (Pav) in programma domani in Vaticano, che ci viene illustrato dal cancelliere monsignor Renzo Pegoraro: «Potremmo definirlo il contributo della Pav al Giubileo della Misericordia ». L’appuntamento si inserisce all’interno dei lavori dell’annuale assemblea generale della Pav, che si svolgerà da oggi a sabato, con l’importante introduzione – questa mattina – dell’incontro con papa Francesco. Intitolato «Le virtù nell’etica della vita», il workshop è articolato in tre sessioni dedicate rispettivamente alla «Dinamica dell’agire morale e il suo compimento nelle virtù» (moderata da Fernando Chomali e Monica Lopez Barahona), alla «Prospettiva delle virtù nell’etica biomedica» (moderata da John Haas e Mounir Farag) e alla «Riscoperta delle virtù» (moderata da Adriano Pessina e Laura Palazzani). «Cercheremo di riflettere – spiega monsignor Pegoraro – sulle modalità per prendere decisioni attente al contesto reale, al vissuto della vita umana specialmente quando è malata, quando occorre prendersi cura, assistere, accompagnare. Un tema che si collega alle encicliche Evangelium vitae di Giovanni Paolo II e Laudato si’ di Francesco».

Il tema delle virtù ha infatti risvolti specifici nell’azione di cura: «Affronteremo la questione dell’agire del soggetto morale, specificamente riferendoci alle caratteristiche del buon medico, del buon infermiere, del buon ricercatore. E saranno riprese anche alcune questioni antropologiche di fondo: come trovare i contenuti ed elaborare le indicazioni etiche perché l’atteggiamento e il carattere della persona trovino la soluzione giusta, il bene, secondo verità e responsabilità». «Ci concentreremo sull’umano – continua monsignor Pegoraro – seguendo le indicazioni, che venivano già da Giovanni Paolo II, poi da Benedetto XVI e da Francesco, per vedere come nella bioetica possiamo trovare un dialogo e il recupero della tradizione filosofica e teologica, ma anche della tradizione dell’etica medica e dell’etica infermieristica, da Ippocrate in poi. Declinando in particolare le virtù che sono coinvolte nel campo dell’etica della vita, della medicina e della cura: compassione e misericordia, giustizia, professionalità, prudenza».

Il workshop ribadirà la necessità di «recuperare una corretta visione antropologica su che cosa sia la persona umana e il bene dell’uomo, di fronte a correnti filosofiche ed etiche basate più sulla procedura formale, oppure che valutano il giudizio solo sulle conseguenze dell’azione, trascurando i valori di partenza, oppure che giustificano le decisioni solo in relazione a un bilanciamento dei beni in gioco». Anche perché «non è solo questione di procedure, di metodo, ma anche di sostanza e occorre recuperare il rapporto tra ragione e sentimenti, perché l’essere umano ritrovi una sua unità nel capire quale sia il bene e nel riuscire a farlo». Non è poco, in un’epoca che sembra voler mettere in discussione i dati più naturali, quale il maschile e il femminile: «Talora alcuni dati vengono travisati per motivi di matrice ideologica, cioè una visione delle cose che vuole forzare la realtà, in cui si incrociano fattori economici, fattori sociali, e speculazioni di varia natura. Per guardare al mondo umano riconoscendolo come umano, diventa interessante la categoria, che appare nell’enciclica Laudato sì,dell’ecologia umana integrale. Il Papa vede una stretta connessione tra ecologia ambientale, ecologia sociale, ecologia economica. Se parliamo di rispetto dell’ambiente, della natura, del creato, come garantire anche un rispetto dell’essere umano in quanto tale? C’è molta attenzione verso le forme della natura, dell’ambiente, del creato e poi rischiamo di commercializzare o compromettere l’equilibrio umano». Nel contesto attuale, c’è anche chi tende a confondere l’eccezione (crescere con una mamma e una zia) con la regola (far adottare un bambino da due donne): «Non si può impostare una riflessione seria e profonda su casi estremi o particolari a cui si cerca poi di provvedere. Un conto è cercare di rimediare agli ostacoli o ai danni della natura, delle colpe dell’uomo, delle vicende della vita; un altro è partire con questa prospettiva, creando ulteriori situazioni difficili da gestire. Il minore è quello che deve essere sempre protetto e tutelato; nella vita si possono recuperare anche situazioni svantaggiate, ma non è corretto crearle fin dall’inizio, c’è la responsabilità di offrire le migliori condizioni possibili. Per capire l’umano occorre recuperare il valore della corporeità, il senso dell’equilibrio e del rispetto, il senso della giustizia, della responsabilità, della donazione, del limite. Non contano solo il desiderio o la libertà, ma come questi cercano la verità e il bene».