Massimo Cardillo è da pochi giorni il nuovo direttore generale del Centro nazionale trapianti (Cnt). La mia intervista – la prima del neo direttore – è stata pubblicata giovedì su Avvenire, nelle pagine della sezione è vita. Una sintesi appare online anche sul sito del Cnt.

Informazione ai cittadini, formazione degli operatori sanitari, miglioramento dei processi di segnalazione dei potenziali donatori di organi e loro effettivo utilizzo. Sono alcune delle più rilevanti aree su cui interviene il Piano nazionale della donazione di organi, che il nuovo direttore generale del Centro nazionale trapianti (Cnt) si augura possa essere inserito nel prossimo Patto per la salute. Dopo vent’anni di direzione di Alessandro Nanni Costa, da dieci giorni infatti alla guida del Cnt – nominato dal ministro della Salute, Giulia Grillo – c’è Massimo Cardillo, ematologo di formazione, ma dal 1992 dedito all’attività organizzativa e alla valutazione immunologica per i trapianti: e in qualità di presidente del Nord Italia Transplant (Nitp) – la prima e maggiore rete sovraregionale per la gestione delle attività di donazione e trapianti – faceva già parte della Consulta tecnica del Cnt.
Il bilancio 2018 del Cnt offre un quadro positivo delle attività, ma basta il progressivo calo delle liste d’attesa?
La diminuzione delle liste d’attesa è solo uno dei parametri per valutare la qualità. Infatti sono costituite dai pazienti che i centri considerano candidati al trapianto anche in ragione della quantità di organi che ci si aspetta di poter utilizzare. La lista d’attesa dà una misura del soddisfacimento del fabbisogno di trapianto, però non è una misura assoluta, perché più migliorano i risultati dei trapianti e più è alto il numero di pazienti che chiede di avere accesso a questa terapia. Se estendessimo le indicazioni per il trapianto ad altre patologie potremmo andare incontro a un aumento delle liste d’attesa, ma se ci fosse un aumento corrispondente dei donatori utilizzati, si potrebbe definire un miglioramento complessivo.
Come si valutano qualità ed efficacia del sistema trapianti?
Da tempo il Cnt ha realizzato un registro con i dati dei risultati dei trapianti nei diversi centri: sopravvivenza dei pazienti e degli organi. Il confronto con l’estero ci fa dire che la qualità dei trapianti in Italia è eccellente. Ma ogni valutazione deve guardare anche a quale sarebbe il destino dei pazienti se non potessero accedere al trapianto: la mortalità in lista d’attesa è più alta rispetto a quella dopo il trapianto. È vero che la sopravvivenza dopo trapianto non è il 100%, ma siamo su percentuali davvero alte, in alcuni casi superiori all’80% a 10 anni. Per non parlare della qualità della vita di chi, senza trapianto, deve sottoporsi per la sua malattia a cure gravose, come la dialisi.
Quali sono i principali nodi da sciogliere?
Dobbiamo fare in modo che tutti i potenziali donatori negli ospedali vengano segnalati e utilizzati, perché oggi i tassi di donazione sono soddisfacenti in alcune regioni ma non in tutte: c’è ancora divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud, che va colmato. Bisogna incardinare la donazione all’interno dei percorsi consolidati dell’ospedale: la segnalazione di un potenziale donatore non deve essere legata soltanto alla buona volontà dei professionisti ma seguire procedure consolidate e strutturate. Esistono figure di riferimento per la donazione, sia negli ospedali sia nei coordinamenti regionali, ma spesso queste strutture non sono messe in grado di operare con risorse adeguate. Per tutti questi motivi il Cnt ha elaborato – insieme alla Consulta nazionale trapianti e al Ministero – un Piano nazionale per le donazioni, che è stato già approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, augurandoci di vederlo inserito nel rinnovato Patto per la salute, che parte quest’anno.
In cosa consiste?
È un documento tecnico, che prevede una serie di misure da applicare con le Regioni per strutturare meglio la donazione in ospedale e che suggerisce interventi su alcune criticità del sistema trapianti. Ci sono proposte anche su formazione degli operatori e informazione ai cittadini. Infatti dobbiamo fare fronte a un ricambio generazionale dei chirughi dei trapianti: hanno smesso molti di quelli che avevano iniziato tanti anni fa. Bisogna coltivare una generazione di nuovi chirurghi del trapianto: sono professionisti dedicati interamente a questa attività, devono avere una formazione adeguata sin dall’università (che per ora non prevede percorsi specifici) e avere anche possibilità di carriera e riconoscimenti tali da rendere l’attività trapiantologica una prospettiva sempre più stimolante.
E la comunicazione?
Qui ci sono spazi per un miglioramento perché oggi ci sono ancora tassi di opposizione alla donazione alti in alcune Regioni. Se noi riuscissimo a migliorare la conoscenza dei cittadini sull’importanza della donazione, sull’utilità dei trapianti, sul fatto che il sistema funziona con trasparenza ed efficacia e sul ritorno positivo che la donazione produce anche nella famiglia che dà il suo consenso, questi tassi di opposizione potrebbero calare. Infine dobbiamo dare piena attuazione alla legge 91/99 che dà la possibilità al cittadino di effettuare la scelta di donare i propri organi: molto è stato fatto su questo, ma molti ancora non sanno come fare.