A Firenze, una mostra coinvolgente nel rinnovato museo di Santa Maria Novella illustra aspetti poco noti del genio vinciano. Il mio articolo pubblicato due giorni fa su Avvenire, nelle pagine della sezione Agorà.

Un tassello utile per ricostruire a tutto tondo la personalità di Leonardo da Vinci (1452-1519), a conclusione delle celebrazioni del 500° della morte, è rappresentato dalla mostra sui suoi studi di botanica allestita a Firenze, nel museo di Santa Maria Novella, a cura di Fritjof Capra, Stefano Mancuso e Valentino Mercati, e prodotta da Aboca (aperta fino al 15 dicembre). Nella famosa “lettera di assunzione” che Leonardo inviò a Ludovico il Moro nel 1482, di studi scientifici di base – diremmo oggi – non c’è traccia. L’allievo di Andrea del Verrocchio si propone al duca milanese soprattutto come ingegnere militare e civile, e solo secondariamente ricorda le sue doti di artista: pittore e scultore. Oggi i suoi studi scientifici che più si ricordano riguardano l’anatomia umana e le proporzioni del corpo, compendiate nell’immagine dell’uomo vitruviano (impressa sulle monete da un euro coniate in Italia); oppure l’ideazione di macchine di vario tipo, in particolare quelle studiate per volare. La mostra La botanica di Leonardo. Per una nuova scienza tra arte e natura illustra i risultati di un’osservazione del mondo naturale attenta ai particolari e permette di approfondire il suo pensiero interessato a una comprensione “ecologica” della realtà. Suggestiva è la collocazione nei chiostri di Santa Maria Novella, solo da pochi anni tornati disponibili alle visite: un’area del convento domenicano, dove ebbe luogo il concilio di Firenze del 1439 e dove lo stesso Leonardo lavorò nel 1504-05 al cartone preparatorio per La battaglia di Anghiari.
I suoi studi di botanica hanno prodotto risultati tuttora validi scientificamente. A partire dall’osservazione delle acque nei canali infatti, Leonardo stabilì una legge sulla costanza dei flussi, secondo cui la portata di un liquido in un condotto rimane costante: applicandolo alle piante, ne ricavò la nozione che l’area della sezione del tronco è uguale alla somma delle sezioni dei rami a ogni livello di ramificazione, il cosiddetto “principio di Leonardo”. Sono illustrati, anche con piccoli esperimenti, gli studi relativi al geotropismo, cioè la risposta delle piante alla gravità; al fototropismo, la risposta alla luce; alla fillotassi, la disposizione delle foglie su un ramo (osservando che è funzionale alla migliore ricezione della luce solare, alla migliore diffusione della linfa e alla resistenza al vento); alla dendrocronologia, lo studio degli anelli concentrici degli alberi per stabilirne l’età, con l’osservazione che l’andamento climatico influenza la larghezza degli anelli stessi. Alle ricerche sulla botanica si affiancano sia riproduzioni di alcuni suoi dipinti ricchi di particolari di foglie e fiori (dalla Vergine delle Rocce al Ritratto di Ginevra de’ Benci, all’Annunciazione conservata agli Uffizi), sia alcune citazioni dagli scritti. Convinto della necessità di fare “esperienzia”, Leonardo rifiuta di proporsi obiettivi contrari a quelli della natura «perché nelle sue invenzioni nulla manca e nulla è superfluo». Da qui l’accettazione – “stando in natura” – dell’alchimia, che per Leonardo equivale alla chimica, contrapposta al rifiuto di negromanti e ciarlatani che cercano di sostituirsi alla natura e di mutarne le leggi. A integrare il quadro degli interessi scientifici leonardeschi viene esposto il Compendio de divina proportione, il trattato di fra Luca Pacioli che Leonardo illustrò con 60 disegni di poliedri. Quattro di questi, che davano corpo a terra, acqua, aria e fuoco (rispettivamente cubo, icosaedro, ottaedro e tetraedro), sono collocati in grandi modelli nel chiostro. Alla conclusione della mostra c’è un dodecaedro, simbolo della quintessenza, segno della perfezione formale e della complessità e del mistero dell’universo. L’eredità oggi più rilevante di Leonardo – scrive il fisico Fritjof Capra nel catalogo – è proprio il bisogno «di recuperare una visione della scienza che onori e rispetti l’unità della vita intera» e «riconosca l’interdipendenza fondamentale di tutti i fenomeni naturali».