A Roma parte il progetto dell’«ostetrica di comunità»

Un’iniziativa per venire incontro alle necessità di donne in condizioni di disagio sociale e delle loro famiglie, nel mio articolo sul numero di gennaio di Noi, famiglia&vita, supplemento mensile di Avvenire

birth-2730416_960_720Un intervento che è allo stesso tempo di tipo sanitario e sociale nonché autenticamente innovativo per la stessa medicina. È il progetto di “ostetrica di famiglia e di comunità” avviato a Roma grazie alla convenzione sottoscritta dalla Federazione nazionale collegi ostetriche (Fnco) con il Centro di pastorale della famiglia del Vicariato e con l’associazione Oltre l’orizzonte onlus. «Diamo la possibilità – spiega Maria Vicario, presidente Fnco – alle ostetriche di frequentare un consultorio familiare, perché siamo sicuri che la loro presenza può aiutare nella tutela della fertilità e di tutti gli aspetti della salute riproduttiva; e per loro stesse è un’occasione di crescita professionale». «L’ostetrica di comunità è un modello – aggiunge Marilisa Coluzzi, segretaria della Fnco e tra le responsabili del progetto – validato dall’Organizzazione mondiale della sanità per i Paesi sia a basso reddito sia ad alto reddito: non a caso è sviluppato da decenni nel Nord Europa e in Gran Bretagna. Le ostetriche sono “di famiglia” come il medico o l’infermiere».
«L’obiettivo sono in particolare le donne in stato di disagio sociale, anche migranti», spiega Assunta Lombardi, medico, esperta in formazione e management sanitario, e responsabile del progetto per l’associazione Oltre l’orizzonte onlus, di cui è vicepresidente. «Abbiamo notato che queste donne possono avere difficoltà gestionali non solo nella gravidanza, ma anche dopo il parto. Vivono condizioni di disagio e di isolamento, e spesso non vanno neanche al consultorio familiare. La soluzione è andare a incontrarle a casa, perché le loro condizioni di fragilità si traducono in un rischio psicopatologico: pur essendo quelle più esposte a depressione post partum e a relazioni patologiche tra mamma e bambino, queste donne sono anche le meno assistite sul piano psicologico». Il percorso nascita, con la visita di un’ostetrica a casa, diventa quindi «occasione di conoscenza di eventuali situazioni di rischio (anche per abusi e violenze in famiglia), allerta di una rete sociale di sostegno (parrocchia, servizi sociali del Comune), promozione di corretti stili di vita a 360 gradi, dalla salute riproduttiva alle vaccinazioni, all’alimentazione. È un esempio – continua Lombardi – di quella “medicina di iniziativa”, di cui si parla tanto ma che pochi fanno». Conclusa da poco la fase di formazione specifica per trenta ostetriche (già dotate di master, e di significative esperienze “sul campo”) il progetto sta per prendere il via «dal consultorio diocesano “Al Quadraro” collocato in un’area della periferia sud di Roma, con alta presenza di stranieri, soprattutto da Sri Lanka, Romania e Pakistan. E che è già attrezzato a rispondere alle fragilità: per esempio, c’è un’attenzione particolare alle donne disabili, con sale visita dedicate. Ma intendiamo estendere le visite in case alloggio e centri di accoglienza di migranti. E sono in programma anche interventi di educazione alla salute nelle scuole».
Tra le ostetriche c’è entusiasmo e curiosità: «Mi aspetto di rivalutare la nostra figura professionale rispetto a quanto ho appreso all’università – dice la giovane Silvia Parisse –. Ho sempre lavorato in ospedale, con la donna già “medicalizzata”, e credo che sarà interessante approfondire la parte territoriale dell’ostetricia, lo stare con la donna e la sua famiglia». «Penso – aggiunge Parisse – di poter mettere a frutto anche quello che ho vissuto e appreso come ostetrica di comunità in una piccola clinica a Getche, in Etiopia, dove dovevo anche saper mediare dal punto di vista culturale le mie conoscenze con le tradizioni di una popolazione mista, dove sono presenti cattolici, ortodossi e musulmani».
Il progetto durerà un anno, con raccolta dati “scientifica” e verifiche periodiche dei risultati, ma è destinato a prolungarsi e allargarsi. «C’è la disponibilità a estendere l’esperienza – spiega monsignor Andrea Manto, responsabile della Pastorale familiare del Vicariato – a consultori o altre diocesi interessate. È un modello che prende spunto da ciò che ha fatto Maria per la cugina Elisabetta ed è pensato per aiutare le donne e le famiglie fragili nel passaggio delicatissimo della nascita di una nuova vita. Abitare questo passaggio preparandolo prima e custodendolo poi significa renderlo più sicuro, più sereno e più gioioso».

I consultori familiari: fare gioco di squadra

Al ministero della Salute, a Roma, si è svolta martedì 21 novembre una giornata di approfondimento sul ruolo e il futuro dei consultori familiari. Una sintesi dei lavori nel mio articolo comparso ieri su Avvenire

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La sede del ministero della Salute all’Eur

Confluiranno in un documento di sintesi da sottoporre alle i­stituzioni, dal ministro della Salute alla Conferenza Stato-Regioni, le proposte e le sollecitazioni per valoriz­zare il ruolo del consultorio familiare emerse dai workshop del convegno “Il ruolo del consultorio familiare in una società che cambia”, organizzato a Ro­ma dal ministero della Salute, dall’Isti­tuto superiore di sanità (Iss) e dall’Uni­versità Cattolica, in collaborazione con la Federazione nazionale dei collegi del­le ostetriche (Fnco) e il patrocinio del Centro per la pastorale familiare del Vi­cariato di Roma. Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero, ha ricordato che con l’i­stituzione dei consultori familiari nel 1975 il nostro Paese «è stato antesi­gnano», ma poi «si è un po’ fermato per strada». Dice qualcosa il dato – offerto da Angela Spinelli (Iss) – che i consul­tori familiari sono passati da 2.725 nel 1993 a 1.944 (e 147 privati) nel 2016. Tuttavia non mancano prese di posi­zione importanti: al recente G7 della salute di Milano – ha ricordato Serena Battilomo (ministero della Salute) – si è ribadito l’impegno a investire nella salute di donne, bambini e adolescen­ti riconoscendoli «positivi agenti di cambiamento per migliorare la salute di tutti».

Giovanni Scambia, presidente della So­cietà italiana di Ginecologia e ostetricia, ha dimostrato con dati di letteratura che «difendere la salute della donna si­gnifica difendere la società intera». U­na società peraltro che spesso dimen­tica il ruolo centrale della famiglia, co­me lamentato da Giorgio Bartolomei (consultorio familiare “Al Quadraro” di Roma): «Non si parla abbastanza della famiglia, che vive profondi cambia­menti e mostra una grande comples­sità. Crescono le famiglie monoparen­tali, le coppie in crisi e le relazioni af­fettive fragili; le famiglie multiculturali hanno difficoltà diverse. E poco ci si oc­cupa dei problemi di famiglie adottive, affidatarie, arcobaleno, o che fanno ri­corso alla fecondazione assistita».

Sulla formazione Maria Vicario (Fnco) ha segnalato che «l’80% degli studenti delle facoltà medico-sanitarie non fre­quenta i consultori». Rocco Bellanto­ne, preside della facoltà di Medicina della Cattolica, ha sottolineato l’im­portanza di abituarsi a lavorare in team, per sapere creare un giusto clima di ac­coglienza. Mentre dal presidente dell­’Iss, Walter Ricciardi, è venuto un invi­to: «Istituzioni come l’Iss e gli operato­ri del consultorio devono fare squadra per far capire ai decisori politici l’im­portanza dei consultori; e occorre una correzione del federalismo che in sa­nità ha prodotto grandi differenze nel­l’accesso ai servizi e alle terapie».

Monsignor Andrea Manto ( Vicariato) ha chiesto di ricordare che lo specifico del consultorio familiare «è rivolto alla famiglia, occorre credere che la famiglia sia un vero capitale e ricchezza per la so­cietà ». Tra le “buone pratiche” emerse dai workshop vale la pena di segnalare la convenzione stipulata tra Fnco, la on­lus Oltre l’orizzonte e il Vicariato di Ro­ma per sostenere la figura dell’ostetri­ca di comunità, una figura in grado di svolgere un ruolo di promozione della salute della donna sul territorio, e in modo attivo.