Cnb, un pensiero forte tra corpo e tecnica

Rinnovato il Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), un giro di pareri del presidente e dei tre vicepresidenti. Il mio articolo pubblicato ieri su Avvenire, nelle pagine della sezione è vita

palazzo chigiIn un mondo che corre veloce nel pro­gresso delle tecnologie biomediche e nel mutare delle condizioni socio-­assistenziali, la bioetica deve affron­tare quotidianamente sfide sempre più spesso inedite. Ecco perché è importante il rinnovo del Comitato nazio­nale per la bioetica (Cnb) da parte del governo, reso noto lunedì. Un passo at­teso da tempo, visto che il mandato del precedente era scaduto nel settembre 2017. A presiedere il gruppo di 26 esperti sarà Lorenzo D’Avack, professo­re emerito di Filosofia del diritto e do­cente di Bioetica e biodiritto all’Univer­sità Roma Tre (già presidente vicario del Cnb dal dicembre 2015). Tre i vicepresidenti: Riccardo Di Segni, rabbino capo della Co­munità ebraica di Roma; Mariapia Ga­ravaglia, docente alla facoltà di Psicolo­gia all’Università La Sapienza di Roma; e Laura Palazzani, docente di Filosofia del diritto all’Università Lumsa di Roma. Del Cnb fanno anche parte, quali mem­bri consultivi, i presidenti di alcuni or­ganismi: Consiglio nazionale delle ricerche, Consiglio superiore di sanità, Fe­derazione nazionale degli Ordini dei me­dici, Federazione nazionale dei veteri­nari, Istituto superiore di sanità.

Ma quali urgenze attendono il nuovo Comitato? «Nei decenni passati – riflet­te Lorenzo D’Avack – l’attenzione è sta­ta molto forte nel settore clinico, nelle biotecnologie, nella genetica. Oggi dob­biamo fare attenzione all’etica sociale, a un equo accesso alle cure, che coinvol­ge più direttamente il vivere civile. I­noltre la dignità della vita è spesso citata ma poi dimenticata, c’è il problema della commerciabi­lità del corpo, delle speri­mentazioni (penso al caso degli ovociti), del gene edi­ting, già in parte affronta­to ». Sul tavolo un paio di questioni: «Il direttore ge­nerale di Aifa, Mario Me­lazzini, ci interpella sull’ammissibilità del tra­pianto di reni non quali­tativamente perfetti, per­ché i donatori sono porta­tori del virus dell’epatite C, patologia peraltro che ora si può curare con farmaci molto costosi. L’Istituto oncologico Re­gina Elena di Roma ci ha poi sot­toposto il tema del consenso infor­mato nella conservazione di tessuti biologici. In base alla legge 3 del 2018 il presidente del Cnb è tra i compo­nenti di diritto del Centro di coordi­namento nazionale dei comitati etici territoriali in ambito di sperimenta­zione clinica dei farmaci».

Tra i vicepresidenti, il volto nuovo è quel­lo di Mariapia Garavaglia, che vanta u­na lunga conoscenza dei problemi so­ciosanitari: sia come ministro della Sa­nità sia come presidente della Croce Ros­sa Italiana. «Proprio perché ho attraver­sato diverse situazioni che riguardano la tutela della salute, oggi sono molto preoc­cupata della formazione degli operatori sanitari. Anche perché alcune recenti leggi, per esempio quella sulle Disposizioni anticipate di tratta­mento, implicano che ci sia u­na consapevolezza particola­re nel personale sanitario. Le professioni sanitarie so­no direttamente implica­te nella tutela della per­sona e nell’inviolabilità della vita: il nostro corpo va salvaguardato non so­lo con l’arte medica ma anche trattandolo come involucro di dignità e spi­ritualità. E poi, l’idea che tra poco mancheranno molti medici non è un pro­blema grave per un governo?». Garavaglia pensa a «un lavoro di approfondimento sul valore delle professioni sanitarie, tutte, da quella apparentemente più modeste alle più e­levate: occorre che ognuna di esse ven­ga concepita in modo profondamente umanistico».

Il rabbino Riccardo Di Segni – che ha una formazione medica – osserva dal canto suo che «la bioetica naviga sempre tra due poli differenti: una si occupa del problema tecnico estremamente parti­colare, l’altra investe problemi di socia­lità vasta, che interessano il pubblico molto più ampiamente». Il Cnb esami­na entrambi gli aspetti: «Non va dimenticato che siamo organo di consulenza del governo, che ci chiede di affrontare determinati problemi, oppure sono i sin­goli membri che propongono temi sul­la base della loro esperienza. Nella com­posizione attuale vedo molte persone che hanno una sensibilità a problemi sociali ampi».

«Sono contenta che il Cnb sia stato ri­nominato – puntualizza infine Laura Palazzani – perché è importante che l’Ita­lia sia presente con i suoi rappresentan­ti ai prossimi appuntamenti internazio­nali: dal Forum dei comitati etici euro­pei, in settembre a Vienna, al decennale del Comitato di bioetica tedesco, in giu­gno ». Tra i temi da affrontare «ce ne so­no alcuni abbozzati ma non sviluppati nel precedente Comitato: il trapianto di utero, l’inquietante trapianto di testa-­tronco (di cui pare sia prossimo un esperimento), le neuroscienze con la sti­molazione transcranica (che potrebbe provocare cambi di personalità) oppure la guida con veicoli autonomi. Infine ri­tengo interessante approfondire il tema della medicina di genere e della speri­mentazione farmacologica sulle donne». Il lavoro, certo, non mancherà. 

«Noi infermieri, il volto umano della sanità»

Concluso ieri a Roma il congresso della neonata Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, ecco un’intervista alla presidente Barbara Mangiacavalli che parla anche dell’udienza con papa Francesco di sabato 3 marzo. Il mio articolo oggi su Avvenire nelle pagine della sezione è vita

20180228_115106Gli infermieri sono «il volto umano della sanità», ma l’appropriatezza e la competenza necessarie al letto del paziente richiedono alta professionalità. Servono maggiori investimenti nelle cure sul territorio, più adatte ad affrontare la cronicità di una popolazione che invecchia, magari attraverso la figura dell’infermiere di famiglia. Temi emersi al primo congresso nazionale della neonata Fnopi (Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche) che si è chiuso ieri a Roma, e che era stato anticipato da un’udienza con papa Francesco: «L’avevamo chiesta fin da novembre. È stato un momento molto sentito, ha colto nel profondo le caratteristiche della nostra professione e si è fatto quasi nostro “sindacalista”» commenta Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi, che lavora quale direttore sociosanitario alla Azienda sociosanitaria territoriale (Asst) Bergamo Ovest.

Perché la Federazione dei Collegi Ipasvi (infermieri professionali, assistenti sanitari, vigilatrici d’infanzia) è diventata Fnopi?

Ordini e Collegi sono nati a metà degli anni Quaranta, e la distinzione dipendeva dal titolo di studio: Ordini per i laureati, Collegi per i diplomati. Ma dagli anni Novanta, prima con un doppio canale, poi dal ’94-’95 in modo esclusivo, la formazione infermieristica avviene in università. La modifica era quindi necessaria da tempo. Ora la “legge Lorenzin” (3/2018) ha rinforzato il compito degli Ordini professionali di tutelare del cittadino, certificando le competenze dell’infermiere. Gli Ordini inoltre sono passati da enti ausiliari a enti sussidiari dello Stato, ampliando le competenze soprattutto sulla vigilanza contro l’abusivismo e sui procedimenti disciplinari per le violazioni al Codice deontologico.

Perché avete chiesto l’udienza con il Papa?

Abbiamo sempre avuto il desiderio di incontrare papa Francesco perché negli anni ha fatto molti accenni alla nostra professione. Avevamo già partecipato a un’udienza del mercoledì in piazza San Pietro, ma abbiamo osato chiedere un’udienza privata. Quando ci è stata offerta la data del 3 marzo, è parso una specie di prologo, in continuità ideale e simbolica, al nostro congresso, che era già fissato dal 5 al 7 marzo.

Il Papa vi ha definiti “esperti in umanità”: che effetto vi hanno fatto le sue parole?

Il Papa è riuscito a muovere le corde più profonde dei 6.500 infermieri presenti. Ha parlato quasi da infermiere, si è dimostrato un profondo conoscitore della nostra professione, dei nostri punti di forza e delle nostre debolezza. Ci ha esortato a custodire i primi e a lavorare sulle seconde. Idealmente è diventato un po’ anche il nostro “sindacalista”, ha rappresentato le nostre istanze in maniera chiara e puntuale.

Francesco ha sottolineato la vostra “tenerezza” nel “toccare” i malati. Si può dire che l’ infermiere rappresenta il volto umano della medicina?

Gli infermieri sono il volto umano della sanità, anche perché hanno questo privilegio di toccare le persone. Il tocco assistenziale è un gesto professionale, accompagnato da competenze e appropriatezza clinica, lavoriamo con le persone e con il loro corpo, abbiamo questo privilegio più di altri professionisti della sanità perché siamo presenti sulle 24 ore.

Che cosa è l’infermiere di famiglia?

Una figura su cui stiamo pensando da tempo. Al congresso abbiamo avuto modo di confrontarci con il ministero della Salute, con l’ Agenzia nazionale per i servizi sanitari, con l’ Università: la necessità è riconosciuta da tutti. Stiamo lavorando sulla creazione di reti territoriali, ma la strada è ancora lunga. I dati epidemiologici dicono che il nostro Paese invecchia, le malattie croniche toccano un terzo della popolazione: alcune sono ben controllate, altre si sommano a produrre fragilità e non autosufficienza. Abbiamo bisogno di disegnare un modello di sanità e di assistenza che superi la gestione solo ospedaliera, e punti sul territorio: e il ruolo degli infermieri può essere solo rinforzato e valorizzato.

È solo una questione di risparmio?

Il Servizio sanitario non è solo un costo, ma anche una risorsa. Deospedalizzare e garantire un’assistenza territoriale efficace risponde a criteri di appropriatezza economica, oltre che organizzativa e clinico-assistenziale. L’ospedale deve essere reso più efficace ed efficiente sulle patologie acute. Ma sulla cronicità occorrono modelli organizzativi diversi, più economici ma anche più appropriati, come i cosiddetti reparti di cure intermedie.

Il direttore generale di Aifa, Mario Melazzini, ieri ha “aperto” alla prescrizione da parte degli infermieri, ma i medici hanno subito contestato l’idea. Che cosa ne pensa?

Forse è stato un po’ frainteso. Melazzini si è dimostrato disponibile a iniziare una riflessione e ha ben specificato che bisogna ridisegnare il quadro normativo, non è un percorso che si realizza domani. Si tratterebbe di presidi, ausili, alimentazioni speciali, medicazioni. È importante ragionarne, conciliando esigenze e aspettative di tutti.

Salute e ambiente, intreccio da tutelare per il bene dell’umanità

In vista del G7 dei ministri della Salute e del workshop della Pontificia Accademia delle Scienze, la mia presentazione dei temi con alcuni interlocutori istituzionali pubblicata oggi su Avvenire, nelle pagine della sezione è vita

inquinamentoSalute e ambiente saranno i temi affrontati al vertice dei ministri della Salute del G7 in programma a Milano sabato 5 e dome­nica 6 novembre. All’incontro, presieduto dal ministro italiano Beatri­ce Lorenzin, prenderanno parte i suoi colleghi di Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, oltre al commissario Ue alla salute e i direttori degli organismi internaziona­li: Oms, Fao, Oie, Ocse ed Efsa. Analo­go tema viene discusso da oggi a saba­to a Roma dalla Pontificia Accademia delle Scienze (Pas) in un workshop sul tema «La salute delle persone e la salu­te del pianeta: la nostra responsabilità». Il cancelliere della Pas, il vescovo Mar­celo Sánchez Sorondo,osserva che «un cambiamento climatico incontrollato pone minacce all’esistenza dell’Homo sapiens e forse a un quinto di tutte le altre specie viventi: in più, l’inquina­mento atmosferico è una delle maggiori cause globali di morte prematura».

«Bisogna dare atto alla presidenza ita­liana del G7 a Taormina e ora al mini­stro Lorenzin a Milano – evidenzia Wal­ter Ricciardi, presidente dell’Istituto su­periore di sanità – di aver voluto por­tare al centro dell’agenda l’impatto dei fattori climatici e ambientali sulla salute, che auspicabilmente sarà ripreso dalla Germania nel G20 e dal Canada, pros­simo a presiedere il G7 dopo l’Italia» «Le evidenze scientifiche sono talmen­te forti – continua Ricciardi – che ci in­ducono a dare ai politici indicazioni nette all’azione. Persino l’accordo di Pa­rigi sul clima è il minimo indispensa­bile per evitare che si generino danni ir­reversibili: abbiamo due generazioni per invertire la rotta».

«Qui non sono in gioco – commenta padre Maurizio Faggioni, docente di Bioetica all’Accademia Alfonsiana – le grandi dispute filosofiche sull’antro­pocentrisimo o il biocentrismo o qua­lunque altro -ismo, qui sono in gioco congiuntamente il bene dell’uomo e il bene della natura». E aggiunge: «Può sembrare strano, ma solo di recente si è presa piena coscienza degli estesi e forse, a medio termine, indelebili ef­fetti della crisi ecologica sulla salute della persona».

«Le conseguenze dei cambiamenti cli­matici in parte si stanno già vedendo – puntualizza Ricciardi, che è direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salu­te nelle regioni italiane, nato presso l’U­niversità Cattolica –. In Italia quest’an­no sei regioni su venti hanno dichiara­i to l’emergenza per l’acqua; si sono tor­nate a vedere malattie tropicali quasi sparite, come la malaria; le ondate di ca­lore (il 2016 è stato l’anno più caldo da quando c’è la registrazione) hanno con­seguenze sul cibo perché la siccità di­struggeraccolti». «È importante che ci sia una coopera­zione forte – aggiunge Mario Melazzi­ni, direttore generale dell’Agenzia ita­liana del farmaco – e che gli Stati più forti dal punto di vista economico si al­leino per prendere decisioni comuni su ambiente e clima e per abbattere i fat­tori di rischio: l’aspetto fondamentale è che al centro dell’attenzione ci sia sem­pre l’uomo». «In queste occasioni di confronto – continua Melazzini – è pos­sibile raccogliere esperienze che per­mettono di arricchirsi e di rendere pa­trimonio comune le buone pratiche di ciascun Paese. Ovviamente occorre sa­pere andare oltre alcune logiche individuali e affrontare complessivamente problemi che sono globali». Infine, sot­tolinea Melazzini, bisogna superare «cri­ticità talora frutto di pregiudizi non suf­fragati da prove certe, incoraggiando l’a­dozione di strategie fondate su prove scientifiche, criterio che deve valere sem­pre quando si adottano decisioni che hanno ricadute sulla salute vanno gui­date da dati validati da un punto di vi­stascientifico». La richiesta di dati certi chiama in cau­sa la ricerca, non sempre facile in que­sti ambiti. Eppure, osserva Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri» di Mila­no, «il tema ha a che fare con la salute molto più di quel che si pensasse in pas­sato. E l’intervento, oltre a qualche de­cisione di comportamento individuale, non può che spettare a Stati e governi, senza lasciarsi condizionare da interes­si particolari o locali. Questo G7 è quin­di un’occasione da non sprecare, anche perché i problemi, che sono globali, non possono essere risolti da un sin­golo Stato ma dalla cooperazione». Gli studi scientifici danno comunque im­portanti conferme: «Lo scorso anno al “Mario Negri” abbiamo fatto una ri­cerca sia sulla presenza degli inquinan­ti ambientali Pm 10 e Pm 2,5 e sulla presenza del salbutamolo nelle acque reflue (principio attivo del farmaco u­sato dagli asmatici): abbiamo riscon­trato che all’aumento della concentra­zione di Pm 10 nell’aria aumentava an­che la presenza nell’acqua e quindi l’u­tilizzo del salbutamolo. In definitiva andrebbe incoraggiata la ricerca in que­sti settori, proprio per prendere deci­sioni suffragate da dati scientifici». Un obiettivo perseguito anche all’Istituto superiore di sanità, dove «esiste un di­partimento Ambiente e salute – spiega Ricciardi – che vede impegnate più di 200 persone. L’epidemiologia ambien­tale è un filone che sta crescendo, sup­portato anche dall’Oms. E nel dicem­bre 2018 su questi temi organizzeremo una conferenza internazionale a Roma con i maggiori studiosi del mondo».

Sla, investiti nella ricerca quasi 10 milioni

Il punto sugli studi finanziati da Arisla in Italia nel mio articolo pubblicato oggi su Avvenire.

arislaQuasi dieci milioni di euro sono stati investiti per sostenere le ricerche sulla sclerosi laterale amiotrofica (Sla) dalla Fondazione Arisla dalla sua nascita nel 2009. Lo ha sottolineato il presidente Alberto Fontana nel suo intervento al sesto Convegno Arisla: «Nuove prospettive di ricerca per un futuro senza Sla», in cui sono stati presentati i progetti pilota finanziati grazie alla «chiamata» rivolta ai ricercatori nel 2014. Oltre ai risultati della ricerca, commentati dal direttore scientifico di Arisla Giulio Pompilio (cardiologo «prestato» alla neurologia), una chiamata alla responsabilità verso il paziente – vero destinatario degli sforzi scientifici – è venuta da Mario Melazzini, presidente Aifa, a lungo presidente dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla).

Fontana ha ricordato che grazie a otto bandi di ricerca (e grande aiuto è venuto dall’Ice Bucket Challenge: le «secchiate» di acqua gelida per richiedere donazioni), Arisla ha finanziato 56 progetti: 34 di ricerca di base, 11 di ricerca traslazionale, 7 studi clinici e 4 di ricerca tecnologica. L’agenzia di ricerca sulla Sla (fondata da Aisla, Telethon, Fondazione Cariplo, Fondazione Vialli e Mauro per la ricerca e lo sport) ha erogato finora 9 milioni e 731mila euro a oltre 105 gruppi in Italia, che hanno coinvolto 244 ricercatori (90 con meno di 40 anni e 136 donne, sottolinea Fontana) con 74 contratti di ricerca. «Oltre 13mila persone ci hanno sostenuto con il 5 per mille – ha aggiunto Fontana – fidandosi del nostro buon uso delle risorse: il 75% viene investito direttamente in ricerca, che ha dato origine a oltre 130 pubblicazioni». E la campagna di raccolta fondi è attiva (fino al 31 ottobre) con un sms al 45528.

Nel suo videomessaggio Mario Melazzini ha sottolineato l’importanza di investire sul capitale umano, cioè sui ricercatori e ha anticipato che è stato appena «approvato dal consiglio di amministrazione di Aifa il bando per la ricerca 2016 (presto sul portale di Aifa) con deadline al 5 dicembre prossimo che mette a disposizione risorse per quasi 40 milioni».

«Tra i diversi progetti presentati – osserva Giulio Pompilio – mi piace segnalare quelli di Giuseppe Pignataro, giovane ricercatore dell’Università di Napoli Federico II, che ha mostrato i dati relativi all’alterazione del metabolismo del calcio, in relazione alla comparsa della malattia; e di Francesca Granucci dell’Università Milano-Bicocca, che ha applicato in ambito Sla la sua grande esperienza nel campo dell’immunologia e dell’infiammazione». E aggiunge: «Un grande contributo al dibattito scientifico è stato dato dalla lectio magistralis di Kevin Talbot,dell’Università di Oxford, il quale ha sottolineato la necessità e l’urgenza di avere modelli preclinici affidabili di malattia, utili a una rapida traslazione al letto del paziente. Il professor Talbot ha presentato in particolare i dati relativi alla caratterizzazione di un nuovo modello murino portatore della proteina TDP-43 mutata, coinvolta nell’insorgenza della Sla; in seguito ha mostrato i risultati di un lavoro di messa a punto della tecnologia per la purificazione di cellule motoneuronali derivate da Ipsc, cellule pluripotenti indotte, ottenute da cellule della pelle di pazienti affetti da Sla, da utilizzare come modello di malattia sia per lo studio dei meccanismi che sottendono alla sua insorgenza, sia per l’identificazione di nuove potenziali strategia terapeutiche». Infine grazie alla Fondazione Bracco sono stati premiati due giovani ricercatori, Giulia Romano e Antonio Vallarola.