Due articoli medici oggi su Avvenire nelle pagine di Agorà, anche se molto diversi tra loro. La storia della scoperta e descrizione e poi delle cure per la malattia di Parkinson è oggetto di un ampio resoconto di Vittorio A. Sironi; la difficile lotta dei medici contro l’infezione da virus di Ebola nella testimonianza raccolta da Valerio La Martire viene presentata da Laura Badaracchi.
Una malattia neurodegenerativa che conta già 250mila pazienti in Italia, destinati a raddoppiare nei prossimi quindici anni: questa semplice contabilità spiega l’impegno nella ricerca di cure efficaci e affidabili che la scienza medica sta mettendo in campo, e con qualche risultato, racconta Sironi («Parkinson, due secoli di terapie»). Esattamente duecento anni fa un’accurata descrizione dei sintomi – frutto dell’osservazione del medico inglese James Parkinson – poneva le basi scientifiche per lo studio della «paralisi agitante». A fine secolo si comprese che era la progressiva perdita dei neuroni che producono una sostanza, la dopamina, a causare i sintomi invalidanti. Ma si dovette attendere il 1961 per trovare una cura, a base di levodopa, che desse i primi risultati clinici. Gli effetti collaterali e i limiti della terapia hanno spinto la ricerca e ora è disponibile un migliore «arsenale» di strumenti, compresa una procedura neurochirurgica mininvasiva. Ora «nuove prospettive terapeutiche sembrano aprirsi – scrive Sironi – grazie alla moderna medicina rigenerativa» basata sulle staminali pluripotenti indotte.
Una storia forte, una tragedia che oltre ai tanti morti ha lasciato anche «tante cicatrici invisibili difficili da cancellare con un colpo di spugna» nei sopravvissuti e nel personale sanitario viene raccontata nel libro Intoccabili. Un medico italiano nella più grande epidemia di Ebola della storia (Marsilio) scritto da Valerio La Martire. Il medico Roberto Scaini, da sei anni in giro per il mondo con «Medici senza frontiere», si è trovato in Africa occidentale quando è scoppiato il contagio. «Ebola, fare il medico dove ogni contatto è proibito» scrive Laura Badaracchi, è difficile: «Mantenere le distanze per non essere contagiati», un atteggiamento opposto a quello di un medico, che si fa prossimo al malato. Ma che in questo caso deve proteggersi da un virus letale, pena il non poter più aiutare i suoi pazienti: quello che è successo in questa epidemia a decine di medici, come in passato a Matthew Lukwiya nell’epidemia di Ebola al Lacor Hospital di Gulu (Uganda) nel 2000 o a Maria Bonino nell’epidemia di Marburg (un virus emorragico simile a Ebola) nel 2005. Scaini spiega che Ebola «ha cambiato il modo in cui vedo la vita. Per quello che mi ha fatto, per come ha distrutto chi ha toccato, per l’impatto che ha avuto su tutti. Perché non è una malattia come le altre». «Sembra – commenta Badaracchi – che non s’impari mai dalle tragedie e che debbano inspiegabilmente replicarsi con tutta la loro virulenza, specialmente nel Sud del mondo, perché si interviene in ritardo».