Ieri si è svolta la Giornata mondiale del malato. Su Avvenire il mio articolo (pubblicato l’8 febbraio nella sezione è vita) con il parere di alcuni rappresentanti della sanità cattolica che declinano il messaggio di papa Francesco, volto a sollecitare, nelle istituzioni sanitarie cristiane e più in generale nei cristiani che operano nella sanità, uno sguardo attento ai più poveri, evitando i rischi dell’aziendalismo
La «vocazione materna della Chiesa verso le persone bisognose e i malati si è concretizzata, nella sua storia bimillenaria, in una ricchissima serie di iniziative a favore dei malati». Lo ricorda papa Francesco nel messaggio per la XXVI Giornata mondiale del malato, domenica 11 febbraio, rivolgendosi in particolare alle istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana. Le quali, sottolinea, operano sia «nei Paesi dove esistono sistemi di sanità pubblica sufficienti» sia in quelli dove «i sistemi sanitari sono insufficienti o inesistenti», in cui la Chiesa come «ospedale da campo» è talora l’unica a fornire cure alle popolazioni. Dal passato, scrive il Papa, dobbiamo imparare generosità, creatività, impegno nella ricerca. Stando però in guardia a «preservare gli ospedali cattolici dal rischio dell’aziendalismo » che finisce «per scartare i poveri». L’attenzione al rispetto della persona e della dignità del malato deve essere propria «anche dei cristiani che operano nelle strutture pubbliche».
Il messaggio interpella gli operatori sanitari cristiani, in particolare ospedali e case di cura dell’Associazione religiosa istituti socio-sanitari (Aris): «Mi ha colpito molto – osserva padre Virginio Bebber, presidente dell’Aris – l’indicazione di avvicinarsi al malato con cuore di madre. Che ricorda quanto aveva già detto Francesco al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel 2015. Le nostre istituzioni devono essere molto vicine all’uomo malato, come una madre che sa piegarsi al proprio figlio ammalato ». Vale a dire far sentire la vicinanza «non solamente di un’istituzione ma anche della comunità cristiana. Ecco allora gli “ospedali da campo” aperti a tutti». Con questo «calore umano forte – continua padre Bebber – si riesce a superare il senso dell’aziendalismo. Anche se la nostra azione per essere efficace ed efficiente non può sprecare risorse, dobbiamo evitare di avere strutture in deficit di bilancio, altrimenti non riusciamo a dare servizio all’uomo malato».
«Anche recentemente papa Francesco ha parlato di economia e cuore, cioè buona gestione fatta con amore – osserva Mario Piccinini, amministratore delegato dell’ospedale Sacro Cuore di Negrar (Verona) dell’Opera Don Calabria –. Il nostro è un ospedale religioso convenzionato con la sanità pubblica: quindi dobbiamo tenere presenti le leggi sanitarie nazionali e quelle del controllo di gestione e coniugarle con i messaggi del nostro fondatore». «Don Calabria – continua Piccinini – diceva che l’ospedale deve essere mantenuto all’altezza dei tempi. Il che significa buona organizzazione, buona gestione, capacità di vedere il futuro e di anticiparlo, se possibile. E diceva che la prima Provvidenza è la testa sul collo. Ma diceva anche che il malato, dopo Dio, è il nostro vero padrone: quindi cerchiamo di offrire al paziente la migliore prestazione sanitaria, dal punto di vista sia professionale sia umano. Ben vengano attrezzature e tecnologie, ma vogliamo un rapporto preferenziale con il paziente: curiamo non la malattia ma la persona».
Dal nord al sud uguali ispirazione e impegno. «L’Ospedale Miulli è un ente ecclesiastico a sé stante, di cui il vescovo di Altamura-GravinaAcquaviva delle Fonti è “governatore” – spiega il delegato vescovile monsignor Mimmo Laddaga – come disposto nel Settecento dall’avvocato Francesco Miulli. Ma l’organizzazione è come quella di un ospedale pubblico ». «Il Papa – aggiunge Laddaga – distingue tra Paesi che hanno un sistema sanitario e quelli che non ce l’hanno. Noi viviamo un’ambivalenza, perché spesso al Sud l’assistenza sanitaria non è assicurata dal Servizio sanitario: il territorio subisce un’alta migrazione di persone che vanno a curarsi a Roma o al Nord. Al Sud sono spesso gli ospedali religiosi (e penso anche a San Giovanni Rotondo) a garantire alla povera gente la più alta qualità di cura possibile». Al Miulli «dobbiamo essere ancora più bravi e oculati nella gestione per investire nella sanità locale. E per mantenerci al passo con le ricerche più avanzate siamo in contatto con il Policlinico Gemelli e l’Università Cattolica per implementare i nostri protocolli dal punto di vista scientifico».
Alla periferia di Roma opera invece l’ospedale «Madre Giuseppina Vannini » gestito dalle Figlie di san Camillo. «Il Papa mette in risalto la compassione di Gesù per l’uomo sofferente – sottolinea suor Filomena Piscitelli, coordinatrice del corso di laurea in Infermieristica, di cui l’ospedale è sede in convenzione con l’Università Cattolica –. E la nostra missione di assistenza agli ammalati scaturisce dal Vangelo, dove vediamo la compassione di Dio per ogni forma di sofferenza fisica e spirituale. Le nostre strutture si mantengono fedeli alla loro ispirazione prendendosi cura della persona in tutte le dimensioni, in una dimensione olistica, anche con la famiglia». «Il Papa fa riferimento anche a coloro che lavorano nelle strutture pubbliche e mi pare importante – conclude suor Piscitelli – che molti infermieri che formiamo e che lavoreranno negli ospedali non religiosi possano portare con sé l’atteggiamento verso la persona che soffre appreso nella nostra scuola nello spirito di san Camillo de’ Lellis»