La rinascita del teatro greco a Siracusa in una mostra. E in un romanzo “dannunziano”

Ad accompagnare la stagione 2021 degli spettacoli classici al teatro greco di Siracusa (ma anche quella 2022), l’Istituto nazionale del dramma antico (Inda) ha dato vita a una mostra storica – che resterà aperta fino al 30 settembre prossimo – intitolata “Orestea: atto secondo”. Il tema è una rievocazione del secondo spettacolo realizzato a Siracusa: infatti nel 1921, sette anni dopo la prima rappresentazione assoluta (Agamennone), furono portate sul palcoscenico le Coefore, la seconda tragedia della trilogia Orestea di Eschilo. E analogamente a un secolo fa, quando gli spettacoli classici ripresero vita dopo l’interruzione causata dalla Prima guerra mondiale e dall’epidemia di Spagnola, nel 2021 l’Inda – dopo la forzata interruzione del 2020 decisa dal governo per la pandemia di Covid-19 – ha messo in scena CoeforEumenidi, che completano la trilogia eschilea.


La mostra si divide in due parti: la prima è una ricostruzione storica dei protagonisti di quegli anni, ricca di documenti: lettere, spartiti musicali, disegni e verbali di riunioni; la seconda, multimediale, permette di vedere foto originali e – grazie alla tecnologia – un filmato di quella storica rappresentazione. L’idea per la mostra – progetto di Carmelo Iocolano, coordinamento di Marina Valensise, consigliere delegato dell’Inda, e supervisione del regista Davide Livermore –, è partita dalle foto inedite che il giovane fotografo siracusano Angelo Maltese (1896-1978) realizzò nel 1921 documentando la rappresentazione di Coefore. Oltre a svolgere un ruolo di supporto per la realizzazione di locandine e manifesti che, insieme con le immagini degli attori, erano utili per far conoscere gli spettacoli e attirare pubblico a Siracusa. Una selezione di 44 foto di Maltese, che comprendono gli attori della compagnia di Emilia Varini (che interpretò Clitemnestra), Ettore Berti (Oreste) e Giuseppe Masi (Egisto), ma anche le giovani siracusane scelte per il coro, introducono alla sala in cui il progetto multimediale prende vita: grazie alla realtà aumentata, Alain Parroni colora e mette in movimento le immagini che si trasformano in un filmato, che riporta lo spettatore indietro di un secolo. Si assiste quindi a uno spezzone suggestivo dello spettacolo, tra le scenografie di Duilio Cambellotti, realizzate dalla Regia Scuola d’arte applicata all’industria diretta da Giovanni Fusero, mentre si ascoltano i cori eseguiti dagli allievi dell’Accademia d’arte del dramma antico (Adda) dell’Inda sulle musiche originali di Giuseppe Mulè. Il tutto viene accompagnato dalla recita, da parte di Stefano Santospago, di un brano del discorso pronunciato a Siracusa dall’ex presidente del Consiglio, il palermitano Vittorio Emanuele Orlando, che espresse il suo sostegno all’iniziativa siracusana.

Ma non minore interesse rivestono i documenti della prima parte dell’esposizione, che rendono conto della frenesia del lavoro del Comitato per le rappresentazioni classiche, della tenacia di Gargallo e della quantità di ostacoli da superare perché il successo del 1914 non rimanesse un isolato, per quanto splendido, ricordo. Leggiamo per esempio, nella lettera di Mario Tommaso Gargallo al cugino Ugo Bonanno dell’11 ottobre 1920, a proposito dei suoi concittadini: «Mi duole sapere che tutti si disinteressano di quel movimento da noi iniziato che dovrebbe tornare a far di Siracusa una città intellettuale». E, con notevole lungimiranza, aggiungeva: «Bisogna che si comprenda che noi facciamo qualcosa di grande, che il nostro tentativo tende in ultima analisi all’innalzamento morale di Siracusa e della Sicilia che ove si istituisca l’Istituto per la Tragedia Antica una corrente di studii affluirà a Siracusa». Non mancano i particolari curiosi, come la lamentela di Gargallo per il fatto che Romagnoli era «un uomo la cui venalità è enorme» (lettera del 9 giugno 1920 a Francesco Caffo, segretario del Comitato). O la raccomandazione del Sopraintendente agli scavi per la Sicilia orientale, Paolo Orsi, di non praticare alcun buco in nessuna parte del teatro, o la richiesta dello stesso, che era anche direttore del Museo archeologico, di una lettera di libero ingresso a un rappresentante della Sopraintendenza, e ai suoi collaboratori, dai custodi del museo al disegnatore Rosario Carta. Altrettanto significativa la lettera che il Comitato per le rappresentazioni classiche invia l’11 gennaio 1921 a Romagnoli, mentre Gargallo è a Palermo per prendere accordi con la stampa «onde svolgere nei futuri mesi una larga propaganda in Sicilia» mentre è «molto preoccupato della stampa del Settentrione, sulla quale non ha che scarsa influenza». Pertanto al grecista viene rivolta «viva preghiera perché voglia interporre i Suoi buoni uffici presso il Corriere della Sera, la rivista “La Lettura”, ed altri importanti giornali per una benevola propaganda e per la pubblicazione di buoni articoli, di tanto in tanto, cui Ella dovrebbe dare il Suo interessamento». Dopo gli spettacoli, tra le relazioni entusiaste per il successo e le lettere di ringraziamenti, mi piace segnalare quella del 13 maggio 1921 di Giovanni Fusero che, in risposta ai complimenti ricevuti da Gargallo, si schermisce per la sua “modesta opera”. Peraltro a riconoscimento della qualità della scenografia, di cui sono in mostra un bozzetto e un modello, il Comitato per le rappresentazioni classiche decise di fare un dono allo stesso Fusero e di gratificare 12 allievi della Scuola d’arte con premi in denaro, da 20 a 120 lire.

Gargallo, còrego sognatore del ventesimo secolo

La figura di Gargallo è protagonista anche di un romanzo storico pubblicato da Morellini editore: I fantasmi di Dioniso. Mario Tommaso Gargallo e il sogno del Teatro Classico a Siracusa. Ne è autrice Giovanna Strano, dirigente scolastico di un istituto superiore, che ricostruisce la figura di questo nobiluomo siciliano, che si fece promotore del recupero del teatro greco di Siracusa, quale sede della rappresentazione di spettacoli classici, e diede origine all’antenato dell’Istituto nazionale del dramma antico (Inda). La vita non mancherà di riservargli amarezze quando fu di fatto estromesso dalla gestione della sua “creatura”, ma i suoi meriti sono indubitabili e grandissimi.

Discendente di Tommaso Gargallo, letterato siracusano noto nell’Ottocento soprattutto quale traduttore di Orazio, Mario Tommaso – futuro marchese di Castel Lentini – rimase presto orfano di padre, ma fu educato dalla madre, assieme al fratello maggiore Filippo, all’amore per l’arte. Anche grazie al suo carattere «risoluto e diretto» – scrive l’autrice – divenne un perfetto imprenditore culturale, quando maturò l’idea di riportare Siracusa ai lustri del passato grazie al recupero della tradizione del teatro classico. Gli fu d’aiuto nell’impresa il grande lavoro dell’archeologo trentino Paolo Orsi, direttore del Museo archeologico di Siracusa dal 1888, artefice di un’enorme opera di valorizzazione dei beni archeologici del territorio della Sicilia orientale, nonché del recupero del patrimonio artistico medievale, come Palazzo Bellomo. In particolare, il teatro greco era diventato un’area che, per la presenza di sorgenti di acque sul colle Temenite, veniva utilizzata dalle lavandaie e dai mulini, fatti costruire dai possidenti siracusani. E diventava anche area di pascolo per il bestiame, e le grotte circostanti venivano usate come stalle.

Mario Tommaso Gargallo – racconta Giovanna Strano – fece studi privati e si dilettava di fare lo scultore. Ma soprattutto, ancora molto giovane, maturò un grande interesse per il teatro. Frequentò a Firenze il circolo di letterati che – intorno a Gabriele D’Annunzio e Giovanni Pascoli – diede vita alla rivista Il Marzocco, ed ebbe modo di assistere alle esibizioni di Eleonora Duse e alle prime rappresentazioni di drammi antichi, messi in scena al teatro romano di Fiesole. Altro incontro cruciale fu quello con il grecista Ettore Romagnoli, impegnato a far riemergere una lettura del teatro antico filologicamente corretta. Questi stimoli suscitarono e rafforzarono in lui l’idea di riportare a nuova vita il teatro greco di Siracusa, che vide le rappresentazioni di Eschilo e di Epicarmo.

In patria riuscì a vincere le resistenze e gli interessi diversi che ostacolavano la nascita di un progetto tanto innovativo, anche grazie al peso della sua famiglia nobile, e con il sostegno di Paolo Orsi. Nel romanzo c’è spazio anche per il disegnatore Rosario Carta (ma perché chiamarlo Mario?), fido assistente dell’archeologo, a cui è stata dedicata una mostra a Siracusa nel 2017. Il grande merito di Gargallo, osserva opportunamente Strano, fu di fungere da catalizzatore o, come diceva egli stesso ispirandosi all’antica Atene, da còrego, cioè da finanziatore degli spettacoli pubblici. Si inebriò del suo sogno (fino a vaneggiare di «messe a Dioniso» che scandalizzavano l’arcivescovo) ma seppe tradurlo in realtà, mantenendo la calma anche di fronte alle provocazioni dei futuristi, scesi a Siracusa con la volontà di rovinare una manifestazione che richiamava le tradizioni del passato remoto. Coinvolto ufficialmente Ettore Romagnoli per la traduzione e le musiche, reclutati gli attori e lo scenografo Duilio Cambellotti, messi al lavoro gli allievi della Regia Scuola d’Arte per l’Industria per la realizzazione dell’allestimento, spinta attraverso varie vie la pubblicità dell’evento, finalmente il 16 aprile 1914, il teatro greco di Siracusa ospitava nuovamente una tragedia: l’Agamennone di Eschilo, di fronte a un pubblico eterogeneo quanto caloroso.

Ma la storia riservava un’altra salita: la prima guerra mondiale e l’epidemia di Spagnola interruppero subito la neonata iniziativa. Fu ancora merito di Gargallo, con la compagnia di quanti l’avevano sostenuto nella prima impresa, se nel 1921 gli spettacoli poterono riprendere (come testimonia la mostra dell’Inda) e diventare una tradizione. Il successo tuttavia attirò l’attenzione del regime fascista, che pensò di centralizzare a Roma la regia delle manifestazioni, trasformando il Comitato nell’Istituto nazionale del dramma antico: da un lato garanzia di un ruolo di primaria importanza, dall’altro espropriazione dei siracusani – e di Gargallo in particolare – della gestione delle attività.

Alla storia “ufficiale” il romanzo affianca notizie e interpretazioni della vita privata di Mario Gargallo e della sua famiglia. Qui, accanto a notizie sul matrimonio poco felice, l’autrice sparge pagine “dannunziane” con avventure erotiche del protagonista (con una ballerina immaginaria) e divagazioni oniriche di non evidente interpretazione. È la parte caduca di un libro per il resto apprezzabile, che rievoca una stagione e un personaggio che ebbero un ruolo decisivo per lo sviluppo degli spettacoli all’aperto al teatro di Siracusa. Se dopo un secolo possiamo ancora assistere a rappresentazioni classiche nell’incanto della cavea del colle Temenite, lo dobbiamo certamente in massima parte a Mario Tommaso Gargallo.

Carta, foto, pietre… Rane: mille motivi per visitare Siracusa

20170609_105031Oltre a poter assistere alle ultime rappresentazioni delle Rane di Aristofane al teatro greco (terminano domenica 9 luglio), una visita in questi giorni a Siracusa permette di scoprire alcune mostre interessanti, legate all’antichità classica ma non solo. Innanzi tutto la tradizionale «Inda Retrò», che l’Istituto nazionale del dramma antico dedica alle precedenti rappresentazioni delle opere in cartellone. Quest’anno la mostra è divisa in tre parti. La prima sono documenti, foto e testi, e abiti di scena appunto di Sette contro Tebe, Fenicie e Rane. L’opera di Eschilo è stata rappresentata tre volte (nel 1924, 1966, 2005), quella di Euripide solo nel 1968 e la commedia di Aristofane nel 1976 e nel 2002. Esaminando i documenti nelle vetrine si scoprono alcune curiosità, come il fatto che le stagioni negli anni Sessanta erano molto corte (19 giorni nel ’66 e nel ’68), o che nel 1976 la terza opera, la commedia plautina Rudens, fu rappresentata all’anfiteatro romano di Siracusa. E si trovano spartiti musicali, lettere, locandine e foto ancora in bianco e nero degli spettacoli. Completa la rievocazione, un filmato a cura di Franca Centaro, che permette di vedere dal vivo brani di alcune delle più recenti rappresentazioni.

In un’altra sezione («La città come scena, la città nella scena») si esamina lo sviluppo architettonico-urbanistico di Siracusa nel corso dei decenni dal particolare punto di osservazione rappresentato dal teatro greco con focus sugli anni 1970, ’84, ’96, 2000 e 2012. La ricostruzione è a cura della facoltà di Architettura dell’Università di Catania con sede a Siracusa. Infine «Il superbo spettacolo», a cura di Angela Gallaro Goracci, è un esame dell’evoluzione del pubblico nel corso del tempo con una foto per ogni decennio: dalla folla negli anni Venti (ma gli uomini erano in giacca e cravatta) ai giovani con gli smartphone degli anni Duemila.

20170611_204520Costituisce un ulteriore motivo di interesse il fatto che le tre mostre sono ospitate nell’atrio del Teatro Comunale di Siracusa, che è stato rimesso a disposizione solo da pochi mesi dopo un lungo lavoro di restauro. Il teatro, che risale alla fine dell’Ottocento, era infatti chiuso da più di cinquant’anni e la sua riapertura offre un nuovo motivo di interesse e un’occasione di arricchimento culturale per la città. Spiccano nell’atrio tre magnifici lampadari in vetro di Murano, dono di Dolce&Gabbana, ma tutta la struttura è stata rimessa a nuovo in modo esemplare. E nelle sere dei fine settimana è possibile usufruire di una visita guidata che illustra la storia e le particolarità dell’edificio.

20170706_121514Curiosità antiquaria e tanta passione sono invece presenti nella piccola ma interessante esposizione aperta nella Sala Caravaggio dell’ex museo archeologico in piazza Duomo. «Memorie su Carta» rievoca la figura del disegnatore Rosario Carta (1869-1962) che fu prezioso collaboratore degli archeologi che si sono succeduti dalla fine dell’Ottocento alla guida della Soprintendenza alle antichità (ora ai Beni culturali e ambientali), da Paolo Orsi a Giuseppe Cultrera a Luigi Bernabò Brea. La mostra, a cura di Rosalba Panvini e Marcella Accolla, documenta l’attività di questo figlio della terra siracusana (era nato a Melilli) affiancò le operazioni di scavo in diversi luoghi della Sicilia (oltre a Siracusa, anche Eloro, Gela, Camarina e altri), documentando con disegni accurati i reperti che venivano portati alla luce, prezioso complemento delle relazioni degli archeologi. Ed ebbe anche la capacità di mantenersi aggiornato, prendendo confidenza con la nuova arte della fotografia che stava affermandosi. Scrisse di lui Paolo Orsi nel 1919: «Le terrecotte architettoniche di via Minerva oltre che da me furono amorosamente e con le più grandi cure esaminate e scrutate dal mio valoroso collaboratore, il disegnatore Sig. R. Carta, che in questa materia è diventato un pratico di singolare perizia, nel riconoscere la ragione e la funzione di ogni singola parte, di ogni minuto particolare. Egli ha sempre diretto e vigilati i restauri abilmente eseguiti dal restauratore G. D’Amico; ed alla sua perspicacia, oltre che alla mano abilissima per i disegni e gli acquarelli, io devo una quantità di preziose osservazioni, di cui ho fatto tesoro nel presente studio».

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La stanza dell’ipogeo che fu dedicata a santa Lucia

Infine, ma non per importanza, la mostra «Siracusa. Immagine e immaginario. Verso un museo della città» (fino al 15 ottobre) ospitata nell’ipogeo di piazza Duomo, riaperto solo pochi anni fa. Realizzata in occasione dei 2750 anni di Siracusa a cura dell’Archeoclub Siracusa da un’idea di Fabio Granata e uno studio di Liliane Dufour, offre testimonianza interessanti dal Cinquecento a oggi: dalle cartografie cinquecentesche a plastici in legno settecenteschi fino alle fotografie noventesche. L’ipogeo, che si apre sotto il giardino dell’arcivescovado con il suo splendido limoneto, e finisce a livello del mare al Foro Vittorio Emanuele II, nasce in epoca arcaica come cava di pietra, che fu usata per molti edifici, compresa la cattedrale (già tempio di Atena), e tornò utile durante la seconda guerra mondiale quale rifugio antiaereo per la popolazione. Toccanti le foto esposte delle torme di bambini lì rifugiati, curioso il privilegio dei nobili di avere una stanza per sé (dove peraltro saranno stati piuttosto stretti…), emozionante la devozione che fece riservare un apposito vano – con porta serrata – al simulacro di santa Lucia, qui trasferito insieme con ex voto e tesoro, evidentemente ritenuti patrimonio spirituale importante per la popolazione e meritevoli di essere messi in salvo.