Quinta e ultima puntata nel viaggio tra i Centri di aiuto alla vita della lombardi, con intervista a tre componenti del consiglio direttivo di FederVita Lombardia, bilancio finale del presidente Paolo Picco e due storie, tra le centinaia che i volontari dei Cav incontrano. Gli articoli sono stati pubblicati il 14 luglio scorso sulle pagine milanesi di Avvenire.
Il viaggio in un campione di Centri di aiuto alla vita della Lombardia (sono 58 in tutta la regione) ha evidenziato l’impegno e gli sforzi generosi di tantissimi volontari. Ma ha anche fatto emergere che della prevenzione dell’aborto e dell’attività in difesa della vita nascente c’è ancora e sempre bisogno. Ne parliamo con alcuni esponenti del consiglio direttivo di Federvita Lombardia: il vicepresidente Fabrizio Sala (responsabile del Mpv a Macherio), Maria Lantieri Guana (presidente del Cav di Capriolo) e Angiola Sala Lussignoli (presidente del Cav di Pisogne).
Trentacinque anni dopo la legge 194 i Cav testimoniano che prevenire l’aborto è possibile. Come si vince l’assuefazione della società e, talvolta, l’inerzia delle istituzioni?
Fabrizio: è l’anonimato che rende più facili assuefazione e inerzia. L’attività dei Cav e del Movimento per la vita è un richiamo per abbassare la “soglia del dolore” che la società ha alzato. Certamente è necessario essere sempre presenti, continuare a “battere il chiodo”, sia entrando nelle scuole sia promuovendo cultura della vita. Rilevo poi che la politica (anche a livello locale) tende spesso a presentare tutti i problemi come priorità, col risultato di non prendere posizione sui temi cruciali.
Maria: l’impegno tenace e perseverante da parte del Movimento per la vita e dei Cav testimoniano la possibilità di prevenire l’aborto e vincere l’assuefazione della società, ma non ci si deve fermare. Nel nostro territorio è progressivamente aumentata l’attenzione delle istituzioni e dei cittadini ai problemi della vita nascente e l’obiezione di coscienza da parte dei sanitari è in aumento.
Angiola: serve anche l’attività culturale, per esempio la raccolta firme a favore dell’iniziativa europea “Uno di noi”.
La presenza dei volontari negli ospedali (o nei consultori) è faticosa ma qualificante. Quanto è cruciale essere presenti dove gli aborti si fanno (o si decidono)?
Fabrizio: i volontari del Cav negli ospedali o nei consultori sono un po’ come il vigile di quartiere, che deve essere presente al momento giusto per tutelare i cittadini. Certamente poi le realtà possono essere diverse, e caso per caso ci saranno spazi di manovra differenti, ma la presenza in quei luoghi è importante.
Maria: essere presenti là dove l’aborto si decide o si fa è molto faticoso. Da parte degli operatori del Cav è indispensabile una grande disponibilità a impegnarsi, anche in presenza di disillusioni e insuccessi. Naturalmente sono necessarie una preparazione e una professionalità adeguate ad affrontare situazioni che, comunque si risolvano, sono sempre critiche. Ci conforta però la richiesta, che talvolta giunge dagli stessi responsabili sanitari, di più presenze di volontari Cav.
Angiola: l’aborto si può evitare quando la mamma sente che non la lasceremo sola e che i suoi problemi diventano anche nostri per risolverli per quanto possibile, e camminare insieme.
La crisi economica incide soprattutto sugli strati sociali più poveri, in particolare gli stranieri. I Cav non si tirano indietro, ma c’è il rischio di essere “dirottati” su forme di assistenza alla maternità, che sono di competenza degli enti pubblici?
Fabrizio: l’attività di aiuto è venuta spontanea, ma certamente c’è un po’ il rischio di annacquare l’attività primaria. Occorre vigilare per non perdere la dimensione di Cav: non limitarsi a dare sollievo, trascurando un ascolto vero che va al nocciolo della questione aborto. Anche perché attività di assistenza è svolta anche da altri enti, ma quello che fanno i Cav in favore della vita nascente, non lo fa nessun altro.
Maria: gli enti pubblici con i quali collaboriamo fanno la loro parte, ma le mamme vengono al Cav anche perché vi trovano persone che percorrono al loro fianco un “pezzo di strada” che in quel momento appare particolarmente faticoso e arduo e le aiutano a portarne il peso.
Angiola: del resto, quando da noi giungono donne con tanti problemi, che hanno accolto la nascita del loro figlio ma che sono in difficoltà a provvedere al suo mantenimento, non possiamo non stabilire anche con loro un programma di aiuto.
La collaborazione con Servizi sociali e Asl, anche per i progetti Nasko, ha reso necessaria una “professionalità” sempre maggiore dei volontari. È servita a vincere una diffidenza spesso “ideologica” verso i Cav?
Fabrizio: certamente i fondi Nasko, oltre al bene in sé, sono stati un’occasione per entrare in relazione: è stata aperta una porta. L’ideologia fa ancora la sua parte, ma in molte Asl e consultori hanno riconosciuto la professionalità dei volontari, gente che lavora bene in favore della mamma e del bambino.
Maria: all’inizio i rapporti con i singoli operatori, non tutti dalla parte della vita, sono stati vissuti con alcune difficoltà e incomprensioni, poi superate con il progredire della reciproca conoscenza. Ne sono scaturiti risultati decisamente favorevoli alla difesa della vita nascente.
Angiola: I progetti regionali a favore della maternità e il progetto Nasko ci hanno dato l’opportunità di essere “visibili” presso la Asl di Breno e la Asl di Lovere e con i quattro consultori pubblici di zona. Ci siamo sentite accolte e in perfetta sintonia con figure di alto profilo professionale, concordi con il nostro operato a favore della vita.
Sono 4.391 i bimbi nati nel 2012
Nel bilancio su un indagine a campione non può mancare una panoramica che a partire dalle ragioni ideali, dia conto dei numeri complessivi dell’attività svolta dai Centri di aiuto alla vita. Che ci vengono presentati da Paolo Picco, presidente di Federvita Lombardia: «Credo che argomenti come le motivazioni, gli attori, le destinatarie dell’attività di aiuto, siano stati trattati per bene, illustrando le diverse esperienze di Cav operanti in grosse città oppure in piccoli centri, di lungo corso oppure recenti, con sede cittadina oppure ospedaliera». Si è trattato di «storie variegate, ma con un unico punto di riferimento: il concepito – “uno di noi” – e sua madre, in una unità esistenziale inscindibile, che dà il senso e il valore dell’impegno».
Che proporzioni ha questo impegno? «I 58 Cav della Lombardia – spiega Picco – rappresentano circa un sesto dei Cav italiani, che sono 338. Anche nelle altre regioni esiste un’analoga varietà di situazioni, come quella riscontrata nei Cav lombardi. Oltre tutto, i 338 Cav sono in crescita, anno dopo anno, segno di una sensibilità che non scompare nel tempo o nell’assuefazione».
Per quel che riguarda la sola Lombardia «negli ultimi tre anni, i bambini che abbiamo visto nascere da madri assistite dai Cav sono stati 3.994 (anno 2010), poi 4.247 (nel 2011), 4.391 (nel 2012). Per ognuno di essi, c’è stato un incontro iniziale con la madre, seguito nella maggior parte dei casi da molti altri incontri. A questi numeri ne vanno aggiunti altrettanti: quelli con le madri che vengono seguite anche dopo la nascita del bambino, in un rapporto che va al di là della semplice fornitura di servizi ma che spesso (e forse sempre!) diventa un profondo rapporto di fiducia e di amicizia con le operatrici del Cav, che rimane anche quando è superata la fase di “emergenza”. Anche questo, l’amicizia, è uno degli aspetti che caratterizzano l’attività dei Cav, e che ne testimoniano l’oggettiva validità sociale». Allargando per un attimo lo sguardo all’Italia si tratta di circa 10mila bambini nati nell’anno 2012, con le loro madri. E va ricordato anche il particolare impegno che alcune donne richiedono: basta pensare che «circa il 70% sono straniere», le italiane hanno spesso situazioni molto difficili, e tutte «incontrano l’accoglienza dei Cav indipendentemente dalla loro origine o dalla loro situazione personale». Non si può infatti dimenticare «la molteplicità degli interventi, di carattere morale, psicologico, spesso medico, talvolta legale, tutti però basati sull’accoglienza della persona, con il suo vissuto e i suoi problemi».
Risulta evidente che «i Cav rappresentano anche un’occasione forse unica per un impegno volontaristico certo non facile, ma dove capacità ed esperienze personali, anche di carattere professionale, possono trovare una realizzazione pratica profondamente gratificante».
Giulia: lui non era pronto e mi propose l’aborto. La volontaria mi disse di ascoltare il mio cuore
Una parola giusta, detta al momento opportuno, può determinare una svolta decisiva per salvare una vita. È quanto è successo a Giulia (il nome è di fantasia), una ventenne che grazie a una volontaria del Cav di Alzano Lombardo (Bergamo) ha rinunciato all’aborto.
La conoscenza comincia in discoteca: «Abitavamo a due ore di distanza, il tempo per stare insieme era sempre troppo poco, ma da parte di entrambi c’erano buoni propositi. Passano i mesi, lui pare un angelo, mille chiamate anche nel mezzo della notte per dirmi “mi manchi”, faceva chilometri per vedermi, mi porta a conoscere la mamma».
Quando si materializza la gravidanza, a Giulia casca il mondo addosso: «Mille cose mi girano per la testa, mille domande e paure… E a lui? Come glielo avrei detto? E la sua reazione? Era un periodo di crisi e questo mi spaventava ancora di più». Il ragazzo, 22 anni, cerca di sfuggire l’incontro diventa freddo e distante, ma – dopo due settimane – non può evitare di venire a saperlo: «Dice che non è pronto, ci conosciamo poco, siamo lontani, non abbiamo lavori stabili… Il suo consiglio è: abortisci». Lui sparisce «e io – si interroga Giulia – mi ritrovo a pensare e ripensare a cosa avrei dovuto fare». Trova il coraggio di parlarne a casa, nessuna terribile reazione: «Mi dicono di scegliere quello che ritenevo giusto per me».
Va in ospedale per chiedere l’aborto, ma dopo l’ecografia «scoppia in me un pianto, non riesco a fermarlo. Esco dall’ambulatorio e incontro una volontaria del Centro di aiuto alla vita, che non conosco ma che mi dice: “Non avere fretta, ascolta il tuo pianto, parliamo…”. Inizia un lungo colloquio «su ciò che mi stava succedendo e dentro di me qualcosa cambiava, la volontaria mi disse: “Ascolta le tue lacrime, ti parlano, sono la voce del tuo cuore, non prendere decisioni affrettate e irrimediabili”». Tuttavia Giulia sembra cedere: «A vent’anni senza una stabilità economica e sentimentale come avrei fatto?».
Il giorno stabilito per l’intervento «in ospedale, tremavo e piangevo. Quando mi sono vista la barella davanti e mi hanno detto: “Toccherebbe a te”, non ce l’ho fatta. Ho esitato ancora per un po’, piangevo… Ma alla fine ho deciso di seguire il cuore e me ne sono tornata a casa col mio bambino in pancia».
Mario: non volevo perdere mio figlio. E la mia ragazza ha accettato l’aiuto del Cav
Gli uomini spesso, nelle storie che i Cav intercettano, non fanno una bella figura. Non è infrequente che istighino la donna all’aborto, con minacce o vere e proprie violenze; o più semplicemente, la lascino sola nella decisione, magari… sparendo letteralmente dalla circolazione. Per questo assume maggior valore la vicenda di un giovane nigeriano, che chiameremo Mario, che si è battuto con tutte le sue forze per salvare la vita di suo figlio, anche se si trovava lontano.
Il giovane, 25 anni, giunto in Italia, viene accolto in casa da una famiglia di connazionali. Qui si innamora, ricambiato, della figlia – ancora minorenne – dei suoi ospiti. Da questo fatto nascono forti dissapori, perché i genitori non giudicano positivamente la relazione tra i due a causa della differenza di età tra i giovani. Mario quindi è costretto ad allontanarsi e a cambiare regione. Giunto a Castiglione delle Stiviere (Mantova), continua però a frequentare Anna (la chiameremo così), di nascosto dalla famiglia di lei.
Quando, dopo alcuni mesi, la ragazza rimane incinta, la situazione sembra volgere al peggio. Ma il ragazzo non vuole rassegnarsi : «Crede di avere solo l’aborto a disposizione – riferisce Mario agli operatori del Cav cui si rivolge disperato – perché i suoi non ne vorranno sapere». In effetti, agli occhi della ragazza l’opposizione della famiglia è totale, e lei, ancora studentessa, anche se maggiorenne, sembra in un vicolo cieco.
«Ricordiamo bene – riferiscono i volontari del Cav – la difficoltà del colloquio, con Mario che la chiamava con il cellulare e poi ce la passava. Abbiamo speso le parole migliori che potessimo avere e intanto abbiamo attivato ogni risorsa, anche della Caritas, per permettere a Mario di trovare una soluzione abitativa adeguata e migliorare la sua condizione lavorativa».
Il delicato aiuto a distanza, via telefono, ha successo. «È stato bello sapere che Anna avrebbe accettato l’aiuto che potevamo offrirle e avrebbe tenuto il figlio che portava in grembo». La ragazza quindi, dopo gli esami di maturità, si trasferisce a Castiglione, dove dà alla luce una bambina. E sopporta anche di essere rifiutata dalla sua famiglia d’origine. Mario ha trovato lavoro e casa più adeguata e ora i due vivono con la loro bambina.