Malattie rare, non c’è tempo da perdere

Tra le priorità che attendono il ministero della Salute, ci sono “atti dovuti” per il completamento di norme già approvate. Tra queste, i decreti attuativi della legge sulle malattie rare: l’ultimo lascito del precedente governo è la nomina del Comitato nazionale, che ora dovrà cominciare i suoi lavori. Su questo tema, gli auspici delle associazioni nel mio articolo, pubblicato su Avvenire lo scorso 20 ottobre, nelle pagine della sezione è vita.

Sul rettilineo di arrivo della scorsa legislatura, il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, ha firmato il decreto che istituisce il Comitato nazionale per le malattie rare (CoNaMR), un provvedimento tra quelli previsti dalla legge 175/2021 e atteso dalle associazioni dei pazienti e da tutto il mondo scientifico e istituzionale che lavora per trovare soluzioni terapeutiche e dare sostegni adeguati ai malati rari. «Ci auguriamo – esordisce Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo, la Federazione italiana malattie rare – che, non appena formato il nuovo governo, il Comitato possa procedere speditamente, perché il lavoro che lo attende è tanto». «Finalmente – commenta Ilaria Ciancaleoni Bartoli, presidente dell’Osservatorio malattie rare (Omar) – si potranno portare avanti i tanti capitoli ancora aperti. Ci auguriamo che nel nuovo governo venga data presto a un sottosegretario del ministero della Salute la delega alle malattie rare, auspicabilmente una persona che abbia la volontà e la competenza di occuparsi di questo tema».

Secondo quanto previsto dalla legge 175, il Comitato avrà «funzioni di indirizzo e coordinamento, definendo le linee strategiche delle politiche nazionali e regionali in materia di malattie rare». Sarà composto da 27 persone: innanzi tutto il responsabile del Centro nazionale malattie rare dell’Istituto superiore di sanità (Iss), da nominare a breve dopo la lunga direzione di Domenica Taruscio, e il coordinatore interregionale per le malattie rare della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (attualmente Paola Facchin). Poi sei esponenti delle direzioni del ministero della Salute, due del ministero del Lavoro e dell’Università, uno della Conferenza delle Regioni, uno dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), uno dell’Agenzia italiana per i servizi sanitari regionali (Agenas), uno dell’Inps, due della Consulta delle professioni sanitarie, quattro di società scientifiche (Sigu, Simg, Fiarped, Fism), uno della Rete di riferimento europea delle malattie rare (il network degli oltre 300 centri clinici italiani dedicati a una patologia rara, presenti in 63 ospedali), uno della conferenza dei rettori (Crui), uno di Fondazione Telethon, due delle associazioni dei pazienti (Uniamo per l’Italia, Eurordis per l’Europa), uno della testata giornalistica Omar. Poiché a coordinare i lavori – e a convocare le sedute del Comitato – sarà il capo della segreteria tecnica del ministro della Salute, è evidente che ormai si attende la formazione del nuovo governo per dare vita al Comitato stesso. E tutti gli enti coinvolti dovranno nominare i loro rappresentanti. «Ci auguriamo che lo facciano presto – puntualizza Ilaria Ciancaleoni Bartoli – perché è importante essere pronti subito. C’è tanto lavoro da fare». Un punto su cui concorda Annalisa Scopinaro: «Far parte del comitato non è un titolo onorifico. C’è molto da fare oltre alle riunioni, ci sono documenti da studiare e da produrre per rendere pienamente operativa la legge 175 sulle malattie rare». Anche se una parte importante è già delineata: «Il nuovo Piano nazionale delle malattie rare è ormai pronto – continua Scopinaro – e sostituisce l’ultimo che copriva gli anni 2013-2016. È stato preparato dal Tavolo tecnico – istituito dal ministro Roberto Speranza –, che ha concluso i suoi lavori nel maggio scorso, dopo tre anni di confronti e oltre 50 riunioni. Il Piano è già stato approvato dal Tavolo interregionale per le malattie rare della Conferenza delle Regioni».

«Tra i primi compiti del nuovo governo – ricorda Ilaria Ciancaleoni Bartoli – c’è quello di completare i decreti attuativi previsti dalla legge 175: in particolare quello che aggiorna l’elenco delle malattie rare, quello che istituisce il fondo per le famiglie, che andrà rifinanziato, e quello che stabilisce i crediti di imposta per la ricerca sulle malattie rare». Le questioni che più stanno a cuore alle associazioni dei pazienti sono molto pratiche: «Abbiamo bisogno – sottolinea Scopinaro – che venga garantito, come prevede la legge, che i farmaci approvati dall’Aifa a livello nazionale entrino nei prontuari farmaceutici regionali in tempi uniformi, evitando quindi differenze tra Regioni che si traducano in disuguaglianze per i pazienti a seconda della loro residenza». Quel che pare importante, sottolinea Scopinaro, è che «tutti coloro che faranno parte del Comitato abbiano la volontà di avviare un circolo virtuoso, creare un affiatamento. A questo scopo, visto che le riunioni sono previste in videoconferenza, mi auguro che almeno la prima, per conoscersi, si svolga in presenza». «Sarebbe anche auspicabile che venissero coinvolte al ministero anche persone che hanno mostrato grande sensibilità per le malattie rare – aggiunge Ilaria Ciancaleoni Bartoli –. Penso per esempio alla senatrice Paola Binetti, che nella scorsa legislatura si è spesa con competenza e passione su questo tema».

Un altro aspetto cruciale, che trascende (ma comprende) il mondo delle malattie rare, è quello dell’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea). «Sono tuttora bloccati in Conferenza Stato-Regioni – lamenta Ilaria Ciancaleoni Bartoli – ma sono importantissimi per aggiornare e inserire trattamenti che non sono previsti nei Lea vigenti. Tra questi anche gli screening neonatali, che finora sono garantiti per poche malattie, ma che esistono per altre patologie come la Sma: e la diagnosi precoce può garantire un trattamento efficace che è ora disponibile». «L’aggiornamento dei Lea – conclude Scopinaro – diventa anche una questione di giustizia. Finora alcune novità terapeutiche o presidi importanti sono stati garantiti extra Lea solo da alcune Regioni, non coinvolte dai piani di rientro. E questo crea disuguaglianze».

Dio stramaledica gli inglesi

L’aeroporto di Londra Stansted

Con l’arrivo dei primi voli in Italia, sembra in via di risoluzione la situazione dei cittadini italiani bloccati nel Regno Unito dall’ordinanza di domenica scorsa del ministro della Salute, Roberto Speranza. Ai giornali oggi sembra un problema del tutto secondario, dedicano alla questione solo piccoli spazi (salvo eccezioni), tuttavia non può mancare qualche riflessione su come è stata gestita la vicenda. Che non è priva di ulteriori criticità.

Il panico si è impadronito dei governi europei quando ha avuto risalto la notizia, che peraltro circolava da giorni, che si era diffusa Oltremanica una nuova variante del Sars-CoV-2, più contagiosa anche se non più pericolosa (apparentemente). Tutti però si affannavano a rassicurare che i vaccini anti-Covid, appena approvati dalle autorità sanitarie e di prossima distribuzione, non avrebbero avuto minore efficacia. In un rapido propagarsi di isteria collettiva, più veloce ancora del Covid-19, alcuni governi europei, tra cui quello italiano, hanno deciso di bloccare i voli da e per il Regno Unito, causando seri disagi a non pochi connazionali. Anche se motivata dal ministro con la “massima prudenza”, la decisione appare abbastanza illogica e pertanto ingiustificata. Non solo si è scoperto presto che la stessa variante del virus, ribattezzata “inglese”, circola anche in Australia, Olanda e Danimarca (e ora si teme per una variante sudafricana). Ma si è finto di non sapere che tutte le persone che dovevano imbarcarsi dagli aeroporti britannici verso l’Italia dovevano avere fatto un test che dimostrasse la loro negatività al virus.

Quindi centinaia di persone, anche cittadini italiani all’estero, sono stati trattati da presunti untori e messi nel limbo. Dovrebbe essere inutile precisare le motivazioni che sotto Natale portano la gente a spostarsi: a parte i turisti, quest’anno limitati dalle restrizioni anti Covid, sono perlopiù persone che rientrano a trovare i parenti per passare le feste in famiglia. Ma sono finiti nella tagliola delle trattative sulla Brexit che hanno inasprito gli animi dei governanti europei, sino a far dimenticare le norme che prevedono la libera circolazione delle persone, tra cui la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che all’articolo 3 del protocollo 4 recita che «Nessuno può essere privato del diritto di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadino».

Non solo. Di fronte alle preoccupazioni e alle richieste degli nostri concittadini, ambasciata e consolato italiani a Londra da lunedì 21 rispondevano che non erano previsti voli di rimpatrio, e di seguire le notizie sui loro siti internet e profili social (!). Quindi migliaia di persone sostanzialmente abbandonate al loro destino, con il governo inglese verosimilmente più preoccupato dei problemi dei propri connazionali, e della fila di camion bloccati sulla via della Francia. Nessuna notizia anche martedì, fino alle decisioni di mercoledì 23 pomeriggio di permettere il rimpatrio, a precise condizioni. Peraltro, anche nell’aprire i confini ai voli da Londra, il nostro governo si è ben guardato dall’agevolare i propri connazionali ai quali aveva immotivatamente sconvolto la vita: «Si segnala – scrive il sito dell’ambasciata italiana a Londra – che i voli saranno di tipo commerciale, pertanto i biglietti saranno acquistabili direttamente tramite le compagnie aeree e non attraverso Ambasciata o Consolato Generale, presso i quali non sono quindi previste liste di prenotazione». Cioè: arrangiatevi a ricomprarvi i biglietti.

Un’ultima criticità riguarda le condizioni per il rimpatrio: bisogna essere residenti in Italia da prima del 23 dicembre oppure avere “un motivo di assoluta necessità” da autocertificare. Il che appare ancora una volta singolare: se un cittadino italiano ha preso la residenza nel Regno Unito perde i suoi diritti di cittadino italiano?

Altrettanto discutibile la condizione sanitaria: test anti Covid (ovviamente negativo), prima dell’imbarco, test all’arrivo in Italia. E fin qui tutto bene, all’insegna della “massima prudenza”. Ma che cosa dire dell’obbligo di isolamento per 14 giorni “a prescindere dall’esito del test”? Sono presunti colpevoli anche se hanno due test negativi a distanza di pochi giorni?

Di slogan in slogan, si è passati da febbraio con “abbraccia un cinese” a dicembre con “Dio stramaledica gli inglesi”. Peccato che siano cittadini italiani.

Buon Natale. Anche alla perfida Albione.

Post scriptum

Il giorno dopo essere tornati con due tamponi negativi (prima della partenza e all’arrivo nell’aeroporto italiano) i malcapitati cittadini italiani di serie B rientrati dal Regno Unito vengono contattati dalla Asl per eseguire un nuovo tampone. Il motivo? «Per maggiore sicurezza, controllare la diffusione della variante inglese», bla bla bla. Ma almeno un ulteriore tampone negativo (il terzo) cancella l’obbligo di quarantena? «No, quella resta». Beh, almeno a quest’ultima presa in giro i cittadini italiani di serie B hanno potuto sottrarsi (quelli di serie C, purtroppo, sono tuttora bloccati nel Regno Unito).