Ibridi pecora-uomo. Coviello: «C’è un limite da rispettare»

Sull’esperimento che ha fatto sviluppare un embrione di pecora con l’aggiunta di cellule umane, realizzato negli Stati Uniti, parla il genetista Domenico Coviello, dell’ospedale Galliera di Genova. La mia intervista pubblicata oggi su Avvenire

Coviello
Domenico Coviello

«In questo caso non sono stati fusi i genomi, ma non si può manipolare l’embrione, rischiando di alterare la natura dell’uomo. Va ricordato che le differenze tra le specie non sono barriere facili da superare, e senza rischi». Commentando l’annuncio che viene dagli Stati Uniti di un esperimento con cellule umane inserite in un embrione di pecora. Domenico Coviello, direttore del Laboratorio di genetica umana dell’ospedale Galliera di Genova, sottolinea un altro aspetto: «Avere organi per i trapianti in questo modo è ben lungi dall’essere a portata di mano: non si devono illudere i malati».

Qual è il significato scientifico di questo esperimento?

Va chiarito che in questo esperimento non c’è stata una fusione di cellule, una commistione del genoma umano con quello animale. L’embrione è partito totalmente autonomo, con genoma animale, e solo dopo l’inizio dello sviluppo le cellule ovine sono state affiancate da cellule umane: non quelle embrionali – in grado di formare un individuo – ma cellule adulte riprogrammate, quindi portate indietro nello sviluppo per essere molto più “elastiche”, in grado di adattarsi all’ambiente.

Quali gli obiettivi?

L’idea è di poter avere organi compatibili con la sopravvivenza in un organismo umano. Ma l’esperimento è durato veramente poco tempo, solo 28 giorni. Lodevole pensare di giovare a persone che aspettano un organo da trapiantare e sono sospese nella loro sofferenza, ma la strada è ancora molto lunga: da questo esperimento a poter avere un organo che possa condividere queste cellule umane in un organo animale ne corre. Diciamo che è un tentativo verso questo traguardo.

Le chimere, organismi misti uomo-animale, sono vietati dalla legge 40 e condannati da un parere del Comitato nazionale per la bioetica. Perché?

Perché c’è il rischio di ottenere qualcosa che modifichi in modo drammatico e non naturale l’essere umano. Da un lato sappiamo che ci sono voluti millenni per piccole modifiche che continuamente si producono nell’evoluzione, che favorisce l’elemento ottimale. Diverso è manipolare genomi dove i risultati sono inattesi e ignoti. La scienza non si può bloccare, sarebbe come rinnegare la natura umana, ma la conoscenza umana è anche fatta per regolare le applicazioni: quando queste metodiche potessero drasticamente variare il genoma umano andremmo nell’inatteso e in un grave pericolo per la specie umana, che fa sorgere quindi enormi dubbi etici. Perché non sappiamo bene che cosa possa derivarne.

Che differenza c’è tra la chimera e lo xenotrapianto?

La grossa distinzione è tra organo e intero organismo. Quindi ben vengano gli studi condotti sinora che cercano di ottenere organi utilizzando cellule staminali adulte. Applicare metodiche nuove per l’organo va bene perché se qualcosa non funziona si distrugge l’organo stesso. Diverso – quello che è assolutamente vietato – è manipolare l’embrione, che può dare origine a una specie “deviante”.

Quanto sono solo futuribili gli obiettivi di questi esperimenti?

Alcune tecniche possono aiutare l’uomo, ma che la via della chimera sia utile o potenzialmente fattibile mi pare poco probabile. Perché la natura ha fatto cose così grandi, e noi a poco a poco ne comprendiamo solo brevi pezzetti: se cresce il raggio della nostra conoscenza, cresce ancora di più la circonferenza di quel che non sappiamo. E se esistono specie differenti ci sono motivi validi. Quello della differenza tra una specie e l’altra è veramente un passo assai rilevante: non so quanto sia realizzabile, quanto si riveli un’illusione per le persone che soffrono, e quanto sia sicuro per la specie umana.

Come dovrebbero porsi gli scienziati quando affrontano strade che toccano l’essenza della specie umana? Gli obiettivi di curare persone malate possono superare perplessità etiche?

Come ricercatore e scienziato penso che il fine non giustifichi i mezzi. Rispettare il limite è il nostro compito, ma è anche compito della stampa e della cittadinanza essere coscienti di quello che avviene per dare un giudizio e decidere qual è il limite nell’applicare le conoscenze scientifiche. Questo è il motivo per cui si dice che l’embrione umano non si deve toccare. Anche la tecnologia Crisp/ Cas (alla base dell’editing genetico, ndr) ha senso se si usa sulle cellule, non sull’embrione.

Fecondazione, la diagnosi preimpianto è imprecisa

Uno dei massimi esperti di procreazione assistita spiega che si scartano anche embrioni sani. Con il commento del genetista Domenico Coviello, il mio articolo pubblicato oggi su Avvenire

La diagnosi genetica preimpianto è uno degli strumenti più controversi delle pratiche associate alla fecondazione assistita. Nelle sue linee più generali consiste nell’analizzare il Dna dell’embrione prima che sia trasferito nell’utero materno, in modo da garantire che sia privo di anomalie genetiche. Ma lo scopo di avere un figlio “sano” non può nascondere il fatto che vengano “scartati” tutti gli embrioni che appaiano portatori di anomalie.

Nonostante la vantata precisione di questi metodi di analisi del Dna, non sempre i risultati sono esenti da errori. La denuncia più recente viene da Norbert Gleicher, presidente della Fondazione per la medicina riproduttiva di New York, uno dei pionieri delle tecniche di fecondazione assistita sin dai primi anni Ottanta. Sul notiziario del Progress Educational Trust (reperibile online www.bionews.org.uk) segnala che dalle tecniche sviluppate negli anni Novanta ci si aspettava non solo di evitare la nascita di bambini malati, ma anche di migliorare i successi della fecondazione assistita. E proprio questo secondo obiettivo è stato fallito, osserva Gleicher: «Infatti il primo approccio era stato quello di analizzare le cellule dell’embrione appena formato – spiega Domenico Coviello, direttore del Laboratorio di genetica umana dell’ospedale Galliera di Genova – ma in una fase così precoce dello sviluppo si identificavano anche anomalie che avrebbero condotto a una naturale eliminazione dell’embrione dopo una fecondazione in utero, senza migliorare la qualità della diagnosi ». In un secondo tempo, continua Gleicher, sono state analizzate cellule dell’embrione dopo qualche giorno dello sviluppo: «In questo caso – continua Coviello – si riesce a identificare la regione di sviluppo dell’embrione e, per non danneggiarlo, si analizzano le cellule da cui si svilupperà il sacco amniotico, non quelle dell’embrione vero e proprio. Ma questo, ancora, porta ad avere falsi positivi (e falsi negativi) perché si analizzano poche cellule cellule non rappresentative dell’embrione vero e proprio. In più va osservato che talvolta, durante lo sviluppo dell’embrione, la natura riesce a evitare lo sviluppo di anomalie che possono apparire a uno stadio così precoce nell’evoluzione». Gleicher suggerisce addirittura la necessità di una moratoria alle tecniche di analisi genetica preimpianto in attesa di uno sviluppo che le renda più attendibili. Senza dimenticare, come ammette lo stesso Gleicher, che si tratta dell’unico ramo della medicina in cui si è proceduto a sperimentare direttamente sull’essere umano, saltando adeguati test di laboratorio e su animali.