Addio a Victor Fuchs, padre dell’economia sanitaria

All’età di 99 anni, lo scorso 16 settembre, è scomparso nella sua casa in California l’economista della sanità Victor Fuchs, uno dei fondatori della analisi dei problemi sociali coniugando efficienza ed equità. Era nato a New York il 31 gennaio 1934 ed era professore emerito della Stanford University. Del suo libro più famoso Chi vivrà? (pubblicato da Vita&Pensiero, con la presentazione di Cesare Catananti e Americo Cicchetti) avevo scritto una breve recensione sulle pagine di Avvenire, pubblicata il 23 ottobre 2002, che qui riproduco.

Le decisioni in tema di politica sanitaria sono inevitabilmente difficili e facilmente impopolari. Anche perché da un lato il progresso tecnologico (che contribuisce a salvare malati in condizioni sempre più di frontiera), dall’altro l’invecchiamento medio della popolazione comportano un continuo aumento della spesa. In tempi come i nostri, in cui l’esigenza di risparmiare è diventato un imperativo anche in sanità, il libro dell’economista Victor R. Fuchs, Chi vivrà? Salute, economia, scelte sociali (Vita e Pensiero, pagine 287, euro 20), è un testo irrinunciabile, anche se “scomodo” (a partire dal titolo inquietante: “Chi vivrà?”), perché mette di fronte alla cruda realtà delle scelte nel settore forse più delicato della vita pubblica, smascherando al contempo le ipocrisie che spesso accompagnano le discussioni sulla destinazione delle risorse per ottenere il livello “ottimale” di assistenza. Che è diverso se valutato da un economista o da un professionista della salute: «Per il secondo, detto livello tende a coincidere con l’optimum permesso dalla tecnologia, indipendentemente dai costi. L’economista guarda invece all’optimum sociale, che corrisponde al punto in cui il valore di un incremento di salute uguaglia esattamente il costo delle risorse necessario a conseguirlo».

Altre osservazioni scomode, ma su cui occorre riflettere, si trovano nel testo di Fuchs. Per esempio il fatto che i comportamenti individuali (fumo di sigaretta, consumo di alcolici, esercizio fisico, dieta) incidono sulle condizioni di salute molto più degli interventi di assistenza sanitaria dispensata alla popolazione. O che «un quarto di secolo di esperienza con i piani sanitari nazionali dimostra che la copertura universale non elimina, né riduce sostanzialmente, i divari di mortalità tra i gruppi socio-economici».

Se la riflessione di Fuchs è certamente figlia della realtà americana, si sbaglierebbe però a fare di lui un campione di un liberismo poco attento alla solidarietà sociale: «Una cosa è che una persona scelga tra piani sanitari alternativi, un’altra è aspettarsi che il malato scelga tra medici e ospedali in concorrenza come se si trattasse di decidere dove acquistare un prodotto qualunque». Quindi «il mercato ideale, la situazione concorrenziale “atomistica” immaginata dall’economia come il miglior contesto per la produzione e la distribuzione delle merci, non è affatto ideale quando si tratti di sanità».

In definitiva le scelte sono ineludibili, ma è la società nel suo complesso che deve farsene carico: «Credo che i nostri valori, la nostra concezione di una società “ben governata” abbiano necessariamente una parte nelle nostre scelte politiche. D’altro canto, a lungo termine, le politiche che adottiamo contribuiscono a plasmare i nostri valori».

Editoria cattolica, la sfida del cooperare

20180401_000828Ancora reazioni, analisi e proposte alle sollecitazioni di Roberto Righetto, coordinatore della rivista Vita&Pensiero, sullo stato di crisi dell’editoria cattolica in Italia. Dopo una prima serie di osservazioni, intervengono ora nel dibattito altri protagonisti del settore, i cui ruoli piuttosto differenziati consentono un ampio spettro di punti di vista, che sono riportati sul nuovo numero della newsletter di Vita&Pensiero, diffusa alla vigilia di Pasqua, a cura di Simone Biundo.

Il giornalista e scrittore Armando Torno parte da un assunto: «Il mondo cattolico ha smesso di credere in un certo modo di fare cultura». Pur mostrando di apprezzare le edizioni di testi di santi e di classici del pensiero, lamenta «emorragia di idee che ha colpito buona parte dell’editoria cattolica». A riprova invita a entrare nella libreria dietro il Duomo di Milano: «Ditemi che differenza c’è tra quello che oggi trovate e quanto era in mostra vent’anni fa». Il suo pronostico è che «andrà sempre peggio», perché i successi di Vittorio Messori, Georges Bernanos o François Mauriac sono stati resi possibili «grazie all’humus culturale che la Chiesa manteneva vivo e che ora sembra scomparso grazie ai diserbanti che sono sparsi da quei libri di intrattenimento più o meno cattolici, più o meno scritti da alcune personalità, più o meno di successo, ma sicuramente inutili. Alla fede e agli uomini».

Anche Ilario Bartoletti, direttore di Morcelliana e Scuola editrice, come già Guido Dotti, fa riferimento al «progressivo assottigliamento» della base dei lettori per l’editoria cattolica di cultura, che è alla ricerca di un compromesso «tra plusvalore simbolico dei libri e bassa redditività economica di certi titoli che non puoi non pubblicare se vuoi fare quel tipo di editoria». Un’attività che è sempre stata «un fragilissimo equilibrio di bilancio economico e catalogo di qualità». E sempre «spes contra spem. Forse, non restano che le virtù della fortezza e della speranza come abiti dell’editore».

Giuseppe Caffulli, direttore di Terra Santa, una delle editrici più giovani (nata nel 2005),  riferisce che il grosso scoglio iniziale è stato «la crisi della distribuzione libraria in ambito cattolico», che li ha costretti ad affrontare il mare magnum delle librerie laiche di catena. Convinti che in un «mercato sempre più spietato» e con «lettori sempre più esigenti», «la sfida vera sia proprio quella della qualità», grazie alla quale «la nostra presenza in libreria è aumentata». Per «scovare lettori», spazio a fiere, eventi, iniziative culturali, convegni, conferenze, serate in parrocchia e nei circoli culturali, o anche il Festival francescano che permette di “sfruttare” il carisma dell’editore, che è espressione dei Frati minori della Custodia francescana di Terra Santa.

Secondo il consigliere delegato del Consorzio editoria cattolica, Giorgio Raccis, la crisi del libro come consumo culturale ha radici lontane nel tempo, ma per l’editoria cattolica «il punto di svolta è la caduta del Muro e il trionfo dell’ideologia della Fine della storia». «Se c’è stata un’età dell’oro per l’editoria cattolica – aggiunge -, questa è stata quella del fecondo dibattito ecclesiale che ha preceduto e accompagnato il concilio Vaticano II e la sua ricezione».  Anche la recente «stagione primaverile» rappresentata da Francesco, «stenta a produrre frutti editoriali che vadano al di là dell’inflazione produttiva, ma ripetitiva ed esegetica, delle parole del Papa; si rompono gli steccati, ma nei nuovi spazi si cammina in modo incerto e prudente». Ma il difficile sono le terapie. Riconosciuto – con Righetto – che non ci salveranno solo i manager, Raccis sottolinea il ruolo delle redazioni: «Oggi non sono più il luogo dove si forma, ragiona, ricerca e progetta un intellettuale collettivo; sempre più spesso i singoli hanno l’autonomia delle decisioni solitarie a cui manca la ricchezza del confronto intellettuale/culturale con l’altro».

Marco Beck, scrittore e consulente editoriale, alle cause di crisi già additate ne aggiunge un’altra: «La rigida, dogmatica attribuzione di quasi ogni compito dirigenziale a esponenti del clero e, di conseguenza, l’inesistente o insufficiente delega di responsabilità  affidata a specialisti laici». Rievocando la sua esperienza alla San Paolo «come responsabile di un ristrutturato settore letterario», Beck ricorda di aver varato – con la consulenza di Giuliano Vigini e Ferruccio Parazzoli – alcune collane (“Pinnacoli”, “Vele”) che «aprivano il mondo angusto del cattolicesimo alle nuove correnti, ai nuovi venti, ai nuovi gusti di un pubblico non più soltanto di stretta osservanza ecclesiale», di aver rilanciato “Dimensioni dello spirito”, oltre ad aver proposto strenne di racconti natalizi scritti da scrittori di alto profilo. Un lavoro che ebbe un «epilogo amaro»: la chiusura del settore letterario dell’editrice per la grave crisi aziendale del 2003-2004. Un’esperienza che però, suggerisce Beck, «potrebbe essere riesumata come punto di riferimento, certo da aggiornare e ridefinire, per una ripartenza – con nuove energie e con un ricambio di risorse umane che dia spazio a giovani talenti – di quella macchina che troppi editori cattolici hanno lasciato arrugginire». Provare a riportarla alla luce «per restituire fiducia a un mondo frastornato, impaurito, regressivo».

Infine giunge l’opinione di Giuliano Vigini, esperto di editoria e in parte causa – con il suo recente Storia dell’editoria cattolica in Italia – dell’articolo di Righetto e del successivo dibattito. Oltre a indicare i problemi imprenditoriali, peraltro importanti (difficoltà finanziarie degli istituti religiosi proprietari delle case editrici, direzione delle stesse affidata in gran parte a religiosi e religiose, limitatezza del canale di vendita), Vigini tenta una risposta sui problemi ecclesiali e pastorali: non si fa quasi nulla per formare alla lettura e incentivarla con opportune iniziative nelle singole diocesi e parrocchie. E la lettura, già bassa, rimane confinata a un ambito devozionale.

Un dibattito che si è avviato – non certo concluso – e che offre riflessioni stimolanti. Di positivo mi pare di poter cogliere soprattutto una certa disponibilità ad aiutarsi, a cercare di “fare sistema”, a non cercare solo la personale sopravvivenza. Ma credo anche che, a parte le difficoltà imprenditoriali innegabili, figlie della crisi economica e della società secolarizzata, Righetto chiedesse all’editoria cattolica – con un auspicio rivolto anche alla Chiesa – soprattutto uno scatto di fantasia e di coraggio nelle scelte dei testi da pubblicare, o anche da ripubblicare: testi ormai introvabili perché fuori catalogo o autori già di successo all’estero ma di cui non si è colta l’occasione di tradurli. Anche se – ovviamente – nessuna strategia da sola può produrre i grandi libri: per quelli ci vogliono i Vittorio Messori o gli Eugenio Corti, per restare agli esempi di best seller citati da Righetto.

 

Editoria cattolica, confronto per ripartire

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Milano, Tempo di Libri 2018

Ha mosso le acque il sasso gettato nello stagno da Roberto Righetto, coordinatore della rivista Vita&Pensiero, nell’articolo in cui lamentava lo stato di difficoltà che vive l’editoria cattolica in Italia. La newsletter di Vita&Pensiero ha pubblicato – a cura di Simone Biundo – le prime risposte degli addetti ai lavori. Con toni che vanno dal conciliante al risentito, sei responsabili di case editrici cattoliche dicono la loro sulla «mancanza di coraggio» e di «uomini nuovi» indicate da Righetto tra le cause dello stallo, soprattutto per quanto riguarda la narrativa.

Due osservazioni preliminari avanza Guido Dotti, amministratore delegato delle Edizioni Qiqajon: primo, narrativa e saggistica sono «settori molto diversi»; secondo, l’invecchiamento della popolazione ha portato una drastica riduzione dei lettori «forti»: cattolici praticanti, soprattutto i giovani, e preti, religiosi e religiose. Tralasciando autori di altre generazioni, Dotti ritiene che non sia agevole la ricerca e la valorizzazione di forze giovani e preparate, e che il dibattito ecclesiale che ha accompagnaato il Vaticano II si sia spento. Infine constata con amarezza l’inefficacia del Progetto culturale della Cei (Conferenza episcopale italiana), che non è riuscito a «ricollocare il Vangelo al cuore dell’annuncio cristiano».

Il direttore dell’Editrice missionaria italiana, Lorenzo Fazzini, plaude all’articolo di Righetto e suggerisce di evitare lo scaricabarile tra editori, librai, distributori e lettori, puntando il dito sulla mancanza di dialogo e iniziative comuni tra editori e incaricati dell’azione formativa nel mondo cattolico. Come rimedio, suggerisce proprio quello di attuare sinergie tra librai, associazioni, parrocchie, gruppi culturali: «Esempi virtuosi ci sono, in tal senso. Mettiamoli a sistema». Quello che conta è la fisicità dell’incontro, a patto – ovviamente – di pubblicare buoni libri.

Don Simone Bruno, direttore di San Paolo, ringrazia per il dibattito e mette a disposizione la propria sede per un incontro che riunisca «intorno a un tavolo gli editori cattolici e chi critica il loro operato, per discutere con serenità e cognizione di causa».

Alberto Dal Maso, caporedattore di Queriniana, condivide la necessità di un «coraggioso ripensamento a trecentosessanta gradi» dell’editoria cattolica» e chiede di non limitarsi a biasimare alcuni fenomeni, quali globalizzazione e secolarizzazione. Inadeguata è anche una risposta alle sfide odierne «che punti esclusivamente sugli aspetti tecnico-organizzativi e strategico-commerciali dell’editoria religiosa». Chiede piuttosto di puntare sulla qualità: e visti i diversi criteri per valutarla, suggerisce di avviare una «riflessione fondante» con «una buona dose di discernimento e di autocritica», e con «il contributo di tutti».

«Insofferente alle etichette confessionali» si dichiara invece Cesare Cavalleri, direttore delle Edizioni Ares, che ironizza sul fatto che «essere cattolici non garantisce la qualità dei libri» e ricorda che gli ultimi pontefici hanno affidato le loro opere a editori laici. La vera distinzione è tra «editori professionalmente seri» ed «editori pasticcioni». «Saranno “cattolici” i libri che hanno un contenuto di verità» conclude Cavalleri, e «cattolici gli editori che li pubblicano».

Infine Roberto Cicala, editore di Interlinea, ritiene «sacrosanto e necessario» il dibattito sollevato da Righetto e riparte dal’invito della Gaudium et spes: «Scrutare i segni dei tempi e interpretarli», che giudica spesso inatteso perché il problema sta «nell’impegno della Chiesa nella cultura e nella formazione permanente». E «più che coraggio spesso si avverte una mancanza di progetto», più che di «uomini nuovi» «format nuovi … e sinergie sostenute dalla base e dai vertici». Quindi se ci vuole coraggio, deve essere accompagnato da «progetti condivisi».

È auspicabile che altre risposte e osservazioni seguano, innescando – si spera – un dibattito virtuoso e, soprattutto, fruttifero.

Tempo di Libri, «l’editoria cattolica si rinnovi con coraggio»

20180308_095901Ieri sera, con una inaugurazione dedicata agli incipit, è cominciata a Milano la seconda edizione di Tempo di Libri, la fiera organizzata dall’Associazione italiana editori. Più che le diverse presentazioni della kermesse, ho trovato interessante l’articolo sull’Osservatore Romano del 6 marzo, che pubblica una riflessione di Roberto Righetto apparsa sulla newsletter di Vita&Pensiero. Partendo dalla constatazione dello stato di sofferenza per non dire stallo dell’editoria cattolica italiana, l’autore si domanda: «Dove sono finiti progettualità, visione e coraggio?».

Condividendo preoccupazioni espresse da Giuliano Vigini nel suo recente volume sulla storia dell’editoria cattolica in Italia, Righetto prova a indagare le cause del fenomeno, a grande distanza ormai dagli ultimi “best seller di Dio”, Ipotesi su Gesù di Vittorio Messori e Il cavallo rosso di Eugenio Corti: il contesto culturale, il calo dei lettori, l’emorragia delle parrocchie, ma anche «una pastorale che preferisce puntare sui nuovi media illudendosi di catturare di più i giovani ma finendo per snobbare l’importanza della cultura religiosa per la formazione del credente». E suggerisce di evitare alibi legati alle trasformazioni tecnologiche e alla secolarizzazione, sottolineando piuttosto verso «un’incapacità gigantesca di far fronte al cambiamento, da parte degli editori cattolici, spesso a causa di presunzione, di autoreferenzialità». Righetto pone una lunga serie di quesiti su fatti che testimoniano una certa «inerzia» da parte della Unione editori e librai cattolici italiani (Uelci): da testi importanti non più ripubblicati, alla riduzione delle librerie cattoliche, fino alla mancata valorizzazione di autori che offrono o interpellano valori cristiani. E conclude: «A volte credo che il problema sia la mancanza di coraggio. E di uomini nuovi». Sottolineando opportunamente: «Non ci salveranno solo i manager».

Finita la pars destruens, non manca però qualche aspetto positivo: tralasciando il versante letterario infatti, «resta insostituibile il ruolo di alcune case editrici cattoliche in campo teologico e filosofico» o nella saggistica religiosa. Se «segni di vitalità permangono», Righetto conclude che «la Chiesa italiana dovrebbe porsi davanti la sfida di rianimare la cultura religiosa del nostro paese anche attraverso lo strumento del libro, senza paura e puntando su forze giovani e preparate».