Un rapido sguardo alle prospettive che offre oggi la genetica nella mia intervista a Maurizio Genuardi, docente dell’Università Cattolica e presidente della Società italiana di genetica umana, pubblicata mercoledì 5 dicembre sulle pagine di Avvenire.
Speranza o incubo. Da quando nel 1953 è stata chiarita la struttura del Dna, la genetica è sempre in primo piano tra le terapie innovative, ma ha anche spalancato le porte a prospettive inquietanti. Ne parliamo con Maurizio Genuardi, docente di Genetica medica all’Università Cattolica e direttore dell’Unità di Genetica medica dell’Irccs Policlinico Gemelli di Roma, e presidente della Società italiana di genetica umana (Sigu).
Quali prospettive ha oggi la genetica?
Offre una conoscenza sempre più approfondita dei meccanismi biologici del corpo umano, inclusi quelli che sono alla base delle malattie. Grazie alla lettura del patrimonio genetico, sappiamo che cosa fa la maggior parte dei nostri circa 20mila geni. E conosciamo le cause genetiche di una buona parte delle malattie ereditarie. La prevenzione basata sui fattori di rischio genetici è “mirata”, induce ad adottare strumenti più stringenti per le persone a rischio più alto. Un esempio: il 5% dei tumori al seno nasce in donne che hanno una mutazione dei geni Brca1 o Brca2. Se identificate grazie a esami genetici, possiamo consigliare loro di fare controlli più frequenti e accurati ed eventualmente interventi chirurgici preventivi. Il versante preoccupante è l’uso della scoperta per selezionare in epoca prenatale gli embrioni che non presentano la mutazione e quindi non sono a rischio di ammalarsi.
C’è il rischio di un abuso dei test genetici?
Il Progetto Genoma ha facilitato la scoperta di geni che sono causa o predispongono alle malattie. I test sono utili quando ci indirizzano verso strategie mirate di prevenzione o di terapia. Problemi sorgono da test genetici per malattie per le quali ancora non esistono strumenti preventivi o terapeutici, per esempio sclerosi laterale amiotrofica o Parkinson. E non tutti i test sono accurati: avere il fattore di predisposizione non significa ammalarsi e alcuni fattori genetici hanno un peso specifico molto basso. Questo vale per molte malattie, tra cui patologie cardiovascolari, diabete e molte altre, comprese quelle infettive, perché da fattori genetici dipende la maggiore o minore resistenza a batteri e virus. La diffusione dei test genetici rischia di ridurre tutto a tecnicismi con risposte fuorvianti, se non ingannevoli. In particolare, quelli diretti al consumatore (venduti su Internet, in farmacia o in istituti di bellezza) possono portare a misure di prevenzione o terapie non giustificate.
Quali risultati può portare la terapia genica?
Dopo grandi speranze, 30 anni fa, tutto si è quasi bloccato per gravi reazioni avverse in pazienti con fibrosi cistica. Ma molti hanno continuato a lavorare e si sono ottenuti risultati con alcune malattie, come l’immunodeficienza tipo Ada-Scid e l’atrofia muscolare spinale (Sma1). Sui tumori siamo a buon punto con manipolazioni genetiche del sistema immunitario: è il caso delle Car-T cells, terapia applicata al Bambino Gesù di Roma. Credo che nessuno possa prevedere i tempi per avere risultati concreti per specifiche malattie.
Fino a che punto ci si può spingere nel manipolare il genoma?
Pioniere nel campo è stato l’italoamericano Mario Capecchi (premio Nobel 2007), che ha inventato il ‘gene targeting’ cioè la modifica mirata di singoli geni, usato a scopo sperimentale in animali di laboratorio. Gli studi si sono evoluti fino al Crispr/ Cas9: la “forbice molecolare” taglia in punti precisi del genoma e consente modifiche in modo mirato ed efficace che, in prospettiva, possono curare malattie genetiche. L’uso sull’embrione – possibile dal punto di vista tecnico – è bandito nella grandissima parte dei Paesi occidentali perché non sappiamo ancora gli effetti collaterali, i danni potenziali di queste manipolazioni, che talvolta agiscono in maniera diversa da come ipotizziamo.